Le visite dei pontefici
L'Arcadia del terzo millennio è sul Web.
Alcuni esperti stimano che ogni anno circa
5 milioni di poesie vengono pubblicate
sulla Rete, in migliaia di siti di scrittura
on-line. Una produzione che sfugge alla
logica commerciale dell'editoria convenzionale
e che si auto-organizza elaborando
dei meccanismi di scrittura collaborativa
per riuscire a fi ltrare le opere più
signifi cative dalla massa. La poesia è una
forma di comunicazione con la quale si
manifestano agli altri momenti di vita vissuti,
emozioni provate.
La poesia sfugge
ad ogni defi nizione. Signifi cativamente
alla bambina pakistana Tuba Sahaab, che
ha ingaggiato a colpi di poesia una battaglia
contro i talebani, è stato conferito
il titolo di ambasciatrice internazionale
della poesia. A sottoscriverlo un gruppo
di poeti italiani composto da Francesco
Agresti, Corrado Calabrò, Martha Canfi
eld, Maurizio Cucchi, Dacia Maraini,
Guido Oldani e Maria Luisa Spaziani.
La pergamena, con la motivazione del
conferimento, è stata recentemente consegnata
all'ambasciatore del Pakistan a
Roma, Tasnim Aslam, che la farà recapitare
direttamente alla ragazzina. «I versi
della giovane Tuba – ha detto Aslam, come
riporta una nota dell'uffi cio stampa dei
promotori dell'iniziativa – rappresentano e
rifl ettono il rifi uto da parte del popolo pakistano
di ogni forma di intolleranza, ingiustizia
e diseguaglianza».
Tuba, 11 anni, vive alla
periferia di Islamabad. I suoi testi raccontano
il dolore e la sofferenza dei ragazzini
come lei. Tuba non ha paura di dire a
voce alta quello che pensa e in una delle
sue poesie prende posizione contro l'impedimento
ad andare a scuola, per molte
bambine, in alcune aree remote del Pakistan.
«È molto scioccante – scrive – sentire
che le ragazze non possono andare a scuola, ci
stanno portando all'età della pietra».
Tuba, la
cui storia è stata raccontata dalla CNN,
ha detto anche di aver pregato per l'elezione
di Barack Obama e di voler andare
negli Stati Uniti per incontrarlo alla Casa
Bianca, per fargli leggere i suoi versi e invitarlo
a visitare il suo paese.
Cercare di fissare la poesia in un aggettivo
è come tentare di bloccare l'eterno movimento
del mare. Una poesia non ha un
signifi cato necessariamente e realmente
compiuto come un brano di prosa, o, meglio,
il signifi cato è solo una parte della comunicazione
che avviene quando si legge
o si ascolta una poesia; l'altra parte non
è verbale, ma emotiva. Poiché la lingua
nella poesia ha questa doppia funzione
di vettore sia di signifi cato sia di suono,
di contenuto sia informativo sia emotivo,
la sintassi e l'ortografi a possono subire variazioni
(le cosiddette licenze poetiche) se
questo è utile ai fi ni della comunicazione
complessiva.
Provare a scrivere una poesia
non è altro che saper leggere la nostra
mente, saper ascoltare la voce del nostro
io interiore, saper percepire le nostre emozioni
e sensazioni, saper sognare, riuscire
ad essere “grandi” pur amando le piccole
cose. “Fare poesia” è guardare la realtà con
occhio diverso, con sensibilità e profondità
di sentimenti, è esprimere ciò che si
prova con un linguaggio particolare. Con
il linguaggio poetico si impara ad usare la
fantasia con la quale possiamo modifi care
la realtà a nostro piacere. Con la poesia
si impara a creare qualcosa di bello e si
impara ad apprezzare quello che di bello
ci propongono gli altri. Si scrive di getto
quando si vivono emozioni forti in positivo
o in negativo, quando invece la vita
scorre tranquilla la vena poetica sembra in
letargo. La poesia è un atto creativo con il
quale si vuole manifestare in versi una determinata
visione del mondo.
“Lasciami,
non trattenermi” è il titolo del libro di poesie
inedite di Mario Luzi, appena pubblicato
da Garzanti, in occasione del quarto anniversario
dalla scomparsa del poeta. Un
titolo che deriva dalla sua ultima poesia:
«Lasciami, non trattenermi / nella tua memoria
/ era scritto nel testamento / ed era un golfo
di beatitudine nel nulla...». Il volume – presentato
dal Centro Studi Mario Luzi “La
Barca” di Pienza – raccoglie poesie scritte
durante il suo ultimo anno di vita: testi
vari, recuperati da dattiloscritti e autografi ,
con evidenti segni d'autore, accompagnati
da una sorta di monologo sulla propria vicenda
coniugale e indirizzato alla propria
sposa. Luzi stava cominciando a dare un
qualche assetto a questi suoi ultimi versi e
aveva fatto trascrivere a Caterina Trombetti,
trentacinque poesie in sezioni distinte,
che costituiscono l'ultima serie di testi ordinata
dall'autore e di cui si è avuto qualche
anticipo su alcune riviste e nell'antologia
personale, allestita da Paolo Andrea
Mettel in “Autoritratto”. «Per quanto frammentario
– afferma il curatore del volume,
Stefano Verdino – il libro, ordinato in modo
cronologico, conferma la ricchezza problematica
dell'ultima fase della poesia luziana che, in
più tratti, si confi gura come un vero e proprio
ciclo teso ad un essenziale e continuo rendiconto
dell'evento, sia nell'ordine naturale, che in quello
umano ed emotivo.
Le diverse affermazioni
dell'essere non hanno nulla di astratto, ma sono
legate a situazioni concrete e fi siche, mosse da
uno straordinario sentimento di ciò che sta accadendo,
fedele alla meraviglia della perenne e
varia nascita, che non esclude i segni del male
e del dolore. Ne scaturisce – continua Verdino
– un intimo senso di preghiera, all'insegna
della fragilità e della discontinuità del poeta nel
captare i messaggi delle proprie esperienze. Da
qui – conclude Verdino – la magia di versi
maneggiati con la leggerezza di un ritmo che,
accompagnato dal monologo autobiografi co, ci
presenta un aspetto decisamente inedito, nella
sua intima diatriba tra affetto ed infelicità». Lo
stesso Verdino racconta di un lungo testo
dedicato alla moglie Elena Monaci e alle
sue penose condizioni di salute, «un testo
che mi parve bellissimo», che lo stesso Luzi
gli fece leggere, durante una delle sue periodiche
visite, nei primi giorni di gennaio
2003 ma che non volle pubblicare: «vedrà
Gianni» disse, intendendo che avrebbe poi
deciso il fi glio Gianni, in una eventuale
edizione postuma.
Ora quei versi aprono
il libro appena pubblicato, con la loro intensità
dolorosa: “Ritorno da una visita di
rito / alla sposa solitaria / alla casa abbandonata./
Così si potrà un giorno ricordare / questa
lunga camminata...”.
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