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Fare poesia: essere grandi pur amando le piccole cose

GIACOMO GALEAZZI
Pubblicato il 30-11--0001



L'Arcadia del terzo millennio è sul Web. Alcuni esperti stimano che ogni anno circa 5 milioni di poesie vengono pubblicate sulla Rete, in migliaia di siti di scrittura on-line. Una produzione che sfugge alla logica commerciale dell'editoria convenzionale e che si auto-organizza elaborando dei meccanismi di scrittura collaborativa per riuscire a fi ltrare le opere più signifi cative dalla massa. La poesia è una forma di comunicazione con la quale si manifestano agli altri momenti di vita vissuti, emozioni provate.
La poesia sfugge ad ogni defi nizione. Signifi cativamente alla bambina pakistana Tuba Sahaab, che ha ingaggiato a colpi di poesia una battaglia contro i talebani, è stato conferito il titolo di ambasciatrice internazionale della poesia. A sottoscriverlo un gruppo di poeti italiani composto da Francesco Agresti, Corrado Calabrò, Martha Canfi eld, Maurizio Cucchi, Dacia Maraini, Guido Oldani e Maria Luisa Spaziani. La pergamena, con la motivazione del conferimento, è stata recentemente consegnata all'ambasciatore del Pakistan a Roma, Tasnim Aslam, che la farà recapitare direttamente alla ragazzina. «I versi della giovane Tuba – ha detto Aslam, come riporta una nota dell'uffi cio stampa dei promotori dell'iniziativa – rappresentano e rifl ettono il rifi uto da parte del popolo pakistano di ogni forma di intolleranza, ingiustizia e diseguaglianza».
Tuba, 11 anni, vive alla periferia di Islamabad. I suoi testi raccontano il dolore e la sofferenza dei ragazzini come lei. Tuba non ha paura di dire a voce alta quello che pensa e in una delle sue poesie prende posizione contro l'impedimento ad andare a scuola, per molte bambine, in alcune aree remote del Pakistan. «È molto scioccante – scrive – sentire che le ragazze non possono andare a scuola, ci stanno portando all'età della pietra».
Tuba, la cui storia è stata raccontata dalla CNN, ha detto anche di aver pregato per l'elezione di Barack Obama e di voler andare negli Stati Uniti per incontrarlo alla Casa Bianca, per fargli leggere i suoi versi e invitarlo a visitare il suo paese.
Cercare di fissare la poesia in un aggettivo è come tentare di bloccare l'eterno movimento del mare. Una poesia non ha un signifi cato necessariamente e realmente compiuto come un brano di prosa, o, meglio, il signifi cato è solo una parte della comunicazione che avviene quando si legge o si ascolta una poesia; l'altra parte non è verbale, ma emotiva. Poiché la lingua nella poesia ha questa doppia funzione di vettore sia di signifi cato sia di suono, di contenuto sia informativo sia emotivo, la sintassi e l'ortografi a possono subire variazioni (le cosiddette licenze poetiche) se questo è utile ai fi ni della comunicazione complessiva.
Provare a scrivere una poesia non è altro che saper leggere la nostra mente, saper ascoltare la voce del nostro io interiore, saper percepire le nostre emozioni e sensazioni, saper sognare, riuscire ad essere “grandi” pur amando le piccole cose. “Fare poesia” è guardare la realtà con occhio diverso, con sensibilità e profondità di sentimenti, è esprimere ciò che si prova con un linguaggio particolare. Con il linguaggio poetico si impara ad usare la fantasia con la quale possiamo modifi care la realtà a nostro piacere. Con la poesia si impara a creare qualcosa di bello e si impara ad apprezzare quello che di bello ci propongono gli altri. Si scrive di getto quando si vivono emozioni forti in positivo o in negativo, quando invece la vita scorre tranquilla la vena poetica sembra in letargo. La poesia è un atto creativo con il quale si vuole manifestare in versi una determinata visione del mondo.
“Lasciami, non trattenermi” è il titolo del libro di poesie inedite di Mario Luzi, appena pubblicato da Garzanti, in occasione del quarto anniversario dalla scomparsa del poeta. Un titolo che deriva dalla sua ultima poesia: «Lasciami, non trattenermi / nella tua memoria / era scritto nel testamento / ed era un golfo di beatitudine nel nulla...». Il volume – presentato dal Centro Studi Mario Luzi “La Barca” di Pienza – raccoglie poesie scritte durante il suo ultimo anno di vita: testi vari, recuperati da dattiloscritti e autografi , con evidenti segni d'autore, accompagnati da una sorta di monologo sulla propria vicenda coniugale e indirizzato alla propria sposa. Luzi stava cominciando a dare un qualche assetto a questi suoi ultimi versi e aveva fatto trascrivere a Caterina Trombetti, trentacinque poesie in sezioni distinte, che costituiscono l'ultima serie di testi ordinata dall'autore e di cui si è avuto qualche anticipo su alcune riviste e nell'antologia personale, allestita da Paolo Andrea Mettel in “Autoritratto”. «Per quanto frammentario – afferma il curatore del volume, Stefano Verdino – il libro, ordinato in modo cronologico, conferma la ricchezza problematica dell'ultima fase della poesia luziana che, in più tratti, si confi gura come un vero e proprio ciclo teso ad un essenziale e continuo rendiconto dell'evento, sia nell'ordine naturale, che in quello umano ed emotivo.
Le diverse affermazioni dell'essere non hanno nulla di astratto, ma sono legate a situazioni concrete e fi siche, mosse da uno straordinario sentimento di ciò che sta accadendo, fedele alla meraviglia della perenne e varia nascita, che non esclude i segni del male e del dolore. Ne scaturisce – continua Verdino – un intimo senso di preghiera, all'insegna della fragilità e della discontinuità del poeta nel captare i messaggi delle proprie esperienze. Da qui – conclude Verdino – la magia di versi maneggiati con la leggerezza di un ritmo che, accompagnato dal monologo autobiografi co, ci presenta un aspetto decisamente inedito, nella sua intima diatriba tra affetto ed infelicità». Lo stesso Verdino racconta di un lungo testo dedicato alla moglie Elena Monaci e alle sue penose condizioni di salute, «un testo che mi parve bellissimo», che lo stesso Luzi gli fece leggere, durante una delle sue periodiche visite, nei primi giorni di gennaio 2003 ma che non volle pubblicare: «vedrà Gianni» disse, intendendo che avrebbe poi deciso il fi glio Gianni, in una eventuale edizione postuma.
Ora quei versi aprono il libro appena pubblicato, con la loro intensità dolorosa: “Ritorno da una visita di rito / alla sposa solitaria / alla casa abbandonata./ Così si potrà un giorno ricordare / questa lunga camminata...”.

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