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Da testimoni a influencer: la Chiesa davanti al web

Marco Roncalli Pixabay
Pubblicato il 04-12-2020

Il saggio Testimoni e influencer. Chiesa e autorità al tempo dei social 

Prima la premessa, necessaria a sgretolare luoghi comuni e apparentamenti superficiali: per distinguere l' autorità dall' autoritarismo, per non confondere la libertà dell' ordine e delle ragioni individuali, per separare nessi fuori luogo tra l' esercizio dell' autorità e quello del dominio (con pagine che fanno pensare a certi dialoghi del "Re Lear"). Poi l' applicazione del tema dell' autorità al cammino della Chiesa, seguendone l' evoluzione che ha condotto al dogma dell' infallibilità, cioè a un esercizio da parte del pontefice di un potere di giurisdizione massimo, nemmeno lontano però da imperanti modelli di comunicazione verticistica prevalenti ancora nelle prassi ecclesiali, chiamate ora - però - a non ignorare un fenomeno. Quale? L' irruzione dei social: per loro natura non gerarchici, in grado di aggregare su criteri omologanti, di mettere in discussione assetti cristallizzati, così da esigere - innanzi ad un' autorità sempre più in trasformazione, investimento critico e capacità di discernimento mediale.

All' attualità, però, arriva per gradi e dopo un percorso che parte da lontano, il saggio Testimoni e influencer. Chiesa e autorità al tempo dei social (EdB, pagine 120, euro 10) scritto da Dario Edoardo Viganò, vice cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e delle Scienze Sociali, già prefetto del Dicastero vaticano per la comunicazione. Così, scandagliate le testimonianze alle radici dell'"autorità ecclesiale" nella Chiesa antica, quelle della fase apostolica e postapostolica costituite secondo i modelli sinagogali e sacerdotali, con una sosta sul passaggio dalla direzione collegiale della comunità al monoepiscopato, dopo aver chiarito le differenze sul piano giuridico e sociale fra auctoritas e potestas, l' analisi arriva alla Chiesa contemporanea, compresa la sua riconfigurazione alla luce del Vaticano II.

Ecco dunque l'"autorità della Scrittura" (normativa, ma non normata essendo la Parola definitiva di Dio rivolta all' umanità e fatta carne nella persona di Cristo). Ecco l' autorità del Magistero (da intendere come partecipazione all' autorità di Cristo nel cui nome è esercitata) riguardante tutto ciò che è stato rivelato da Dio per la salvezza degli uomini. E via, sino a oggi, quando - appunto - l' esercizio dell' autorità deve misurarsi con il contesto postmediale, con i media ovunque, anzi con "noi stessi diventati media" (Ruggero Eugeni), con i ruoli di figure carismatiche, competenti, istituzionalizzate (autorità tradizionale), soppiantate da influencer ai quali l' autorità conferita dalle comunità sociali sul web, può essere tolta in fretta su spinte emotive originate da fattori positivi o negativi, confronti seri o pettegolezzi sciocchi (l' autorità postmediale).

Anche se può succedere che - afferma Viganò - in alcuni frangenti storici le due forme di autorità siano compresenti: qui il rimando è a due casi di quest' anno, la Statio Orbis del 27 marzo e la Via Crucis sul sagrato di San Pietro il 10 aprile. Plauso a parte per la "regia liturgica" dei due eventi di grande forza simbolica oltre che di immersione nel mistero di Dio (che lo porta a dire con Braque «l' arte è una ferita che diventa luce»), Viganò conclude ribadendo che l' unica autorità che la Chiesa può legittimamente coltivare è quella della testimonianza, convinto con Papa Francesco che non si ha bisogno di «parolai che promettono l' impossibile», ma «di testimonianze che il vangelo è possibile». (Avvenire)

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