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Da San Francesco a Zuckerberg, da Dante agli scienziati: chi sbaglia ha successo

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Chi non ha mai commesso un errore nella sua vita alzi la mano. Errori veniali o gravi, magari senza possibilità di riparo. Poi però c'è lo specchio: ci si guarda, si capisce e ci si ravvede, perché, come diceva Molière, gli errori più brevi sono i migliori. Persino i santi sbagliano. San Francesco in gioventù si imbarcò in follie e imprudenze che tra l'altro lo condussero in prigione. Se non avesse sbandato, forse non avrebbe mai pensato di rimediare radicalmente con la conversione, e da cavaliere dedito alle armi non sarebbe mai diventato uomo di pace.
Il fatto è che qualche volta dai grandi errori nascono le grandi imprese. Non che abbia molto a che fare con il poverello di Assisi, ma anche Mark Zuckerberg ha imparato dagli errori, almeno a sentire ciò che ha detto rispondendo alle domande degli utenti di Facebook: «Le persone di successo non solo imparano dai propri errori, ma impiegano la maggior parte del loro tempo a sbagliare». Un po' esagerato. «Se hai successo, significa che le cose che hai fatto in gran parte sono sbagliate».

Doppiamente esagerato. Basterebbe ripetere quel che ci dicevano i nonni: sbagliando s'impara. In effetti si evolve a forza di correggersi e tutto sommato se ci si sbaglia è perché si cerca la verità. Viceversa, raggiungere gli obiettivi senza mai inciampare è quasi innaturale, al punto da farci credere onnipotenti e da precipitarci nella depressione alla prima scivolata. «Solo gli imbecilli - diceva De Gaulle - non sbagliano mai».

Vero, ma senza dimenticare la banalità che «perseverare è diabolico». Ti può andar bene una volta, due, tre, ma poi, anche se sei Zuckerberg, cadi irrimediabilmente. Dunque a mia figlia insegnerei sì che sbagliando s'impara, però è meglio farlo con prudenza. Prudentia in latino significa saggezza. Leopardi lamentava il fatto che si passi la vita più a rimediare agli errori che a cercare il vero: però non diceva che questo porta al successo.

Sta di fatto che l'errore aiuta a crescere specie se è figlio della curiosità, cioè della voglia di conoscere, quella di Ulisse. Perché non si può negare che spesso le grandi imprese, come si diceva, sono figlie di una svista, di una distrazione. In fondo, Dante apre la Commedia con questa ammissione. Se avesse proseguito sulla «diritta via», niente visione celeste per lui, e niente capolavoro per noi. Non c'è dubbio che, se avesse saputo quel che l'aspettava oltrepassato il Purgatorio, avrebbe imboccato abbastanza serenamente quella deviazione fatale. Non era un vile. Era quel che ai suoi tempi si definiva un magnanimo: uno che essendo alquanto consapevole delle sue capacità, non si sottraeva. Come certi scienziati che a forza di correggersi arrivano a scoperte sconvolgenti. Tutti sanno che l'errore è parente dell'errare, del vagabondare: il cavaliere errante più errante di tutti è don Chisciotte, campione di abbagli e di equivoci.

Bisogna pur ammettere che ci sono anche gli errori fatali, delle cui conseguenze è impossibile liberarsi: «Un vecchio errore vuole inseguirmi e incatenarmi e trascinarmi lì davanti ad ogni specchio per dirmi: guardati...». È Paolo Conte che spiega, con un gioco di parole e con qualche rammarico, che è impossibile «amare l'amore» senza mai fare neanche un errore. Di che tipo di errore parli, è intuibile. Lo si paga caro, ma uno specchio fa sempre bene.  (Paolo Di Stefano - Corriere della Sera)

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