attualita

Così Gaza cancella l’eredità israeliana

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Atenei, campi militari, parchi per bambini e bar sulla spiaggia ma anche macerie, posti di blocco e serre abbandonate: a dieci anni dal ritiro degli israeliani da Gaza ciò che resta degli insediamenti che abbandonarono riassume l’identità di una Striscia che Hamas vuole trasformare in Stato. 

«Benvenuti nella Bella Terra Liberata». Il cartello verde con il logo dell’Autorità palestinese segna l’entrata di quello che era l’insediamento di Netzarim. Di cui non è restata traccia. Su quelli che erano i campi agricoli campeggiano le bandiere nere della Jihad Islamica.

E sulla vetta del colle centrale case e palazzi sono stati rasi al suolo per lasciare spazio all’ospedale dell’Università Islamica, pagato dalla Turchia. Poco distante una grande ruota colorata svela l’esistenza di un parco giochi dove le scolaresche arrivano in appositi bus. Ad accoglierli c’è un gestore, Ahmed, che parla di «gioia doppia nel vedere questi bambini giocare lì dove c’erano gli occupanti». Per trovare tracce fisiche della presenza israeliana - durata dal 1967 al 2005 - bisogna arrivare fino all’incrocio con la Salahaddin Road dove durante le Intifade gli attentati erano frequenti. 

L’avamposto militare

La base israeliana è divenuta un deposito di rottami d’auto mentre sul lato opposto c’è un posto di sorveglianza di Hamas che svolge mansioni simili a quelle degli israeliani di allora: controllare il traffico attraverso Gaza. Dall’ex Netzarim parte verso Sud la litoranea che attraversa Deir El Balah arrivando all’ex Gush Katif che fino al ritiro del 2005, voluto dal premier Ariel Sharon, era il «blocco» dove risiedevano la maggioranza dei 5 mila abitanti degli insediamenti che si estendevano sul 40 per cento della Striscia. Il posto di blocco di allora si riconosce per i lastroni di cemento che nessuno ha rimosso da un’ex base trasformata in deposito di spazzatura. 



Subito dopo l’ex spiaggia degli insediamenti - c’era chi la chiamava «Palm Beach» - si presenta come una sorta di riviera di Hamas: piccoli bar e ristoranti dai nomi esotici, arredati con tende colorate, che consentono di mangiare a qualsiasi ora, con vista sul mare. Il cameriere del «Paradise», Mohammed di 24 anni, si ricorda «come se fosse ieri» il momento in cui «sparirono i posti di blocchi e potemmo entrare qui». «Non avevamo mai visto nulla di simile, una spiaggia così grande - dice, tradendo ancora emozione - perché fino a quel momento solo gli israeliani potevano accedervi, fu come entrare in paradiso». La «Deir El Balach Beach» è fiancheggiata sull’interno da campi di addestramento delle diverse milizie: non solo Hamas ma anche il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, i Comitati di resistenza, la Jihad islamica. 

I campi d’addestramento

Sono i diversi colori delle bandiere a delimitare i terreni di addestramento, vere e proprie isole militari da cui si levano alte colonne di fumo. I militanti di Hamas circolano su grandi moto, la polizia sorveglia gli incroci e l’ex blocco degli insediamenti potrebbe sembrare una zona militare se non fosse per i parchi giochi. «Asda City», la Città dell’Eco, sorge sull’insediamento di Ganei Tal. È una Disneyland in miniatura che il manager Saed Abalder, 32 anni, descrive così: «Dopo il ritiro, tentammo di farne un grande set ma l’unico film girato fu “Ahmad Akel”, un eroe della resistenza contro gli ebrei, ed allora cambiammo programma, puntando sui bambini». Il risultato è un parco acquatico, circondato da giostre, trenini e perfino uno zoo dove la maggiore attrazione è un leone. «Lo abbiamo fatto arrivare due anni fa attraverso i tunnel, dall’Egitto - racconta Abalder - allora era talmente piccolo che entrava in una scatola». Fra cervi, struzzi e babbuini lo zoo di «Asda City» ha rimpiazzato nella Striscia quello dell’insediamento di Nezer Hazany, di cui non è rimasta una pietra. Sulla genesi delle distruzioni gli abitanti di Deir Al Balach riportano versioni diverse, c’è chi imputa agli israeliani «aver distrutto quasi tutto prima di andarsene» e chi invece ricorda quel ritiro come una «vittoria della resistenza» che portò a «voler cancellare le tracce dell’occupazione». (Maurizio Molinari)

Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.

Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA