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Così curiamo i tossici di Internet

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Il primo (lo chiameremo N.) è arrivato qui trascinato dai genitori. Ha diciassette anni, passa sedici ore al giorno incollato al computer. Due anni di scuola bruciati, zero amici. Eppure non capisce. «Io sto bene», dice. Si sveglia alle due del pomeriggio, va a letto alle sei di mattina. In casa niente luce, a cena indossa gli occhiali da sole. Oltrepassa i tornelli del Gruppo Abele di Torino, allarga le braccia e sgrana gli occhi: «Che c'è che non va?».

All'inizio, nulla. Papà e mamma sono orgogliosi: N. non fuma, non si è mai ubriacato. Nessuna notte passata con il cuore in gola ad aspettare il rientro dalla discoteca. Ma quando provano a staccare la spina del pc N. diventa aggressivo. Insulti, botte. Una crisi d'astinenza in piena regola.

Don Ciotti si sta sgolando da mesi. Eroinomani, testimoni minacciati dalla mafia, prostitute, barboni, giocatori d'azzardo andati in rovina. Sotto la sua ala si sono rifugiati in migliaia. Ma l'ultimo rovello del prete combattente è la cyber-dipendenza. «È la più sottovalutata» dice. La più pericolosa. «La nostra società si preoccupa dei ragazzi, ma non se ne occupa. Invece dovremmo dare una mano ai giovani a colmare la vita di vita». Ma come si combatte un nemico che non c'è? Un nemico virtuale, così perfido da infilarsi negli oggetti di cui non possiamo fare a meno: computer, telefonini, tablet? Si danza. Sul filo sottilissimo che c'è tra l'uso e l'abuso. Tra la Rete che ti connette al mondo e quella che ti isola dietro il monitor, le tapparelle abbassate, le paure affidate ad un «avatar» capace di cavarsela contro draghi e mostri, figurarsi durante un'interrogazione.

Racconta N. che la sua giornata è piena, appagante. Partecipa a giochi di ruolo, scarica le serie tv americane, costruisce video da caricare su YouTube. Non si sente mai solo. Perché dall'altra parte dello schermo c'è qualcuno. «Attraverso i loro profili online i nostri ragazzi vivono una vita parallela, in cui non differenziano più il confine tra il mondo reale e quello virtuale - spiega Alberto Rossetti, psicologo in prima linea allo sportello in via Leoncavallo, Torino Nord -.Diventano una cosa solo con il loro avatar. Fanno incontri sentimentali, conquistano nuovi mondi, provano emozioni e sensazioni vere».

Byte al posto della carne, smiley piuttosto che sguardi. Anche caricare i propri filmati in Rete «sembra essere un modo nuovo - spiega Federico Tonioni, dirigente medico presso il Day Hospital di Psichiatria e Tossicodipendenze del Policlinico Gemelli di Roma - per affermare e a volte ricercare la propria identità e il proprio diritto di esserci. In altri termini: se sto su Internet esisto».
Gli stessi che si sono dimenticati di J., cinese trapiantata a Torino. Vive solo la notte. Connessa con i connazionali a 8000 km di distanza. «Gli unici in grado di capirmi». Dalla dipendenza si può uscire, la terapia psicologica funziona. Ma la molla decisiva arriva dal contatto con la realtà. Gli operatori del gruppo Abele coinvolgono i giovani organizzando mostre in cui la tecnologia diventa reale, palpabile. Cellulari giganti in cui giocare a nascondino. Lavatrici da smontare e trasformare in opere d'arte. Videogame programmati dai baby-geni. La Stampa

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