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Comunicare con il cuore: San Francesco e la comunicazione

Antonio Tarallo Cimabue
Pubblicato il 19-05-2023

La 57ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

“Nel drammatico contesto di conflitto globale che stiamo vivendo è urgente affermare una comunicazione non ostile. Abbiamo bisogno di comunicatori coinvolti nel favorire un disarmo integrale e impegnati a smontare la psicosi bellica che si annida nei nostri cuori”. E’ questo uno dei passaggi più attuali del Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2023 che si celebrerà domenica 21 maggio. Il Papa si rivolge in modo particolare agli operatori della comunicazione ma osserva che l’impegno per una comunicazione “dal cuore e dalle braccia aperte” è responsabilità di ciascuno.

“Cuore e braccia aperte”, immagini forti, soprattutto in un mondo in cui “avere cuore” (questa è l’espressione più usuale) sembra quasi essere divenuto segno di debolezza; “braccia aperte”, immagine che evoca, forte, il tema dell’accoglienza. Comunicare e condividere, alla fine non possono che essere sinonimi. Per questo motivo, quella “e” di congiunzione facilmente può divenire “è” verbo: comunicare è condividere. E l’unico modo per condividere è, in fondo, avere il cuore pronto all’accoglienza; avere il cuore capace di essere sensibile a tutto ciò che accade intorno: uno dei più grandi compiti degli operatori della comunicazione è proprio quello di registrare la realtà circostante e raccontarla per essere testimoni del mondo e nel mondo.

“Comunicare cordialmente vuol dire che chi ci legge o ci ascolta viene portato a cogliere la nostra partecipazione alle gioie e alle paure, alle speranze e alle sofferenze delle donne e degli uomini del nostro tempo. Chi parla così vuole bene all’altro perché lo ha a cuore e ne custodisce la libertà, senza violarla”: altro passaggio importante del Messaggio del Pontefice per questa giornata. “Cordialmente”, avverbio che alla sua radice custodisce - ancora una volta - il termine “cuore”: dal latino “cor, cordis”, cuore appunto.

E San Francesco come usava la sua parola? Che comunicatore era? “Siccome poi era uomo semplice, non per natura, ma per grazia divina, cominciò ad accusarsi di negligenza, per non aver predicato prima di allora agli uccelli, dato che questi ascoltavano così devotamente la parola di Dio; e da quel giorno cominciò ad invitare tutti i volatili, tutti gli animali, tutti i rettili ed anche le creature inanimate a lodare e ad amare il Creatore”. Così le fonti francescane ci parlano della comunicazione di san Francesco: una comunicazione semplice che parlava ai semplici. Non è un caso che nel testamento quando Francesco d’Assisi fa riferimento a sé e ai suoi frati userà la parola “idiotae”: definendosi così potrebbe passare per molti la figura di un uomo illetterato. Ma era ben altro perché quell’ “idiotae” sta ad indicare chi ha scoperto il grande dono della semplicità: “Molti sono quelli che volentieri si elevano alla scienza, ma beato sarà chi si fa sterile per amore di Dio” (Leggenda perugina, 1627).

Una comunicazione “a braccia aperte”, dunque, quella di san Francesco; così come il Cristo sulla Croce che si fa dono e accoglie ogni uomo. Per Francesco, infatti, la comunicazione si fa dono per gli altri: annunciare la Parola per il santo d’Assisi era necessità perché sentiva la necessità di donare. E due doni, soprattutto, ci ha voluto regalare: la pace e la gioia. La pace. Non si può non fare riferimento a uno dei momenti simbolo della comunicazione di Francesco: il colloquio con il Sultano d’Egitto Malik al Kamil, avvenuto a Damietta. Un momento estremamente significativo e attuale per le sue conseguenze nel dialogo interreligioso e per la pace mondiale. Si narra, infatti, che prima di questo evento vi fosse stata un’altra missione fatta dai suoi fratelli in Marocco: occasione, quella, di nessun possibile dialogo. Francesco, invece, si pone nella condizione di ascolto e di comunicazione d’amore, così come il Maestro per eccellenza della comunicazione, Gesù Cristo, ha sempre fatto nei Vangeli.

La gioia. Nella “Vita seconda” di Tommaso da Celano troviamo scritto: “Talora - come ho visto con i miei occhi - raccoglieva un legno da terra, e mentre lo teneva sul braccio sinistro, con la destra prendeva un archetto tenuto curvo da un filo e ve lo passava sopra accompagnandosi con movimenti adatti, come fosse una viella, e cantava in francese le lodi del Signore”. Oggi, abbiamo bisogno, di quelle “lodi”; abbiamo bisogno di un’annuncio colmo di speranza per un mondo travagliato da guerre e conflitti sociali.

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