Le visite dei pontefici
L’amore al tempo delle mascherine
Indossare la mascherina è indispensabile per ridurre la diffusione del coronavirus. Insieme a quella del distanziamento fisico è l’unica soluzione che ci protegge dal rischio di contagiare ed essere contagiati. Alla rinuncia tattile, alla sospensione delle relazioni toccanti, si aggiunge la rinuncia al volto dell’altro. Tutti, dai più piccoli ai più grandi, siamo chiamati a misurarci con questa privazione. Non certo per abbassare la guardia, e dunque la mascherina, ma per diventare più consapevoli e capaci di trovare nuove strategie relazionali salvando il valore dell’intersoggettività. Cioè di quel dialogo “volto a volto” che il filosofo Lévinas pone come fondamento dell’umano.
Una parte del nostro cervello è deputata al riconoscimento delle facce. Consente ai piccoli decodificare, grazie al sorriso, le espressioni di chi fornisce le cure e gioca con loro. Solo col tempo sviluppiamo la capacità di leggere l’espressione degli occhi. Il volto altrui informa sull’altro, ma anche su noi stessi in quanto rispecchiati. Da adulti, tra gli stimoli che percepiamo, i volti sono i più informativi: basta un colpo d’occhio per cogliere l’età, il genere, lo stato emotivo dell’altro. Una lesione nell’area cerebrale deputata alle funzioni face-selective sembra implicata nella prosopagnosia, che è un disturbo selettivo del riconoscimento delle facce. Una condizione che Oliver Sacks conosceva in prima persona e su cui ha scritto pagine avvincenti, raccontando, col suo riservato umorismo, come l’essere prosopagnosico gli avesse causato più di un incidente diplomatico, per esempio quando non aveva riconosciuto, incontrandolo per strada, il suo analista (che manco a dirlo aveva poi interpretato il non-saluto come un gesto ostile).
Oltre a riconoscerli, i volti abbiamo bisogno di scoprirli, ed è così che spesso nascono gli amori. Nei Frammenti di un discorso amoroso, Barthes ricorda il momento in cui Werther vede per la prima volta Carlotta. Il colpo di fulmine, dice, «ha bisogno del segno della sua subitaneità… improvvisamente, si apre un sipario: ciò che non era stato ancora visto viene scoperto e da quel momento divorato con gli occhi». Un paziente mi racconta che la sua solitudine è aumentata dalla mancanza di esplorazioni sui volti altrui, soprattutto del sorriso degli sconosciuti. L’interazione mascherata complica le identificazioni, i movimenti empatici, il rispecchiamento. È una privazione della faccia di chi ti fa un caffè, ti vende il pane, ti visita e ti cura o ti rivolge una domanda per strada. È un sacrificio per i non udenti che si appoggiano al movimento labiale.
Che conseguenze avrà questa sospensione del sorriso? Coprirsi il viso in pubblico una volta era proibito dalla legge, che ora proibisce di scoprirlo. Il volto è tutto quello che abbiamo, come nel caso del mendicante infreddolito di Montaigne che rispondeva al signore impellicciato: «Anche voi avete la faccia scoperta, ebbene, io sono tutto faccia». Oggi questa faccia va coperta, ma mentre perdiamo il sostegno del riconoscimento reciproco ci rinforziamo con altre virtù: altruismo, valutazione del rischio, (auto)protezione e senso di (auto)efficacia. La necessità di nascondere la bocca esalta la comunicazione degli occhi che, come confermano i test sulle capacità di mentalizzazione, sono il primo luogo d’accesso al mondo interno nostro e altrui. Per i neoplatonici l’amore è un’infezione fantastica che si trasmette con lo sguardo: partiamo da qui, dal contagio del guardarsi negli occhi. (Repubblica)
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