Caro Draghi non dimenticare i disperati che sognano solo di raggiungere l’Europa
Su La Stampa, la lettera aperta di Luigi Manconi al presidente del Consiglio
Signor Presidente del Consiglio, professor Mario Draghi, in queste tre settimane, trascorse da quando le è stato conferito l’incarico dal Capo dello Stato, come era prevedibile, tutti si sono rivolti a lei. Direttamente o indirettamente, attraverso i rappresentanti parlamentari e gli organi di stampa, con petizioni e richieste di aiuto, tramite i gruppi di interesse e le organizzazioni di categoria, i sindacati e la Confindustria.
Ci sono persone, tuttavia, che non hanno proprie forme di rappresentanza e nemmeno strumenti di comunicazione: ma la cui stessa sopravvivenza dipende dalle decisioni del governo, dalla sua politica estera e dai suoi programmi sociali. Mi riferisco a quei migranti e a quei profughi che non sono ancora Italia e non sono ancora Europa, ma che, pure, verso l’Italia e l’Europa si muovono, percorrendo a piedi la rotta balcanica o salendo su un barcone per attraversare il Mediterraneo e sbarcare sulle nostre coste. Molti di loro, in questi stessi giorni, hanno conosciuto i drammi e le insidie, le fatiche e le perdite che comportano i tentativi di fuggire da un destino di sofferenza e di morte in Africa e in Medio Oriente: e di cercare un’opportunità di salvezza e di vita nei paesi democratici.
Qualche giorno fa davanti all’isola di Lampedusa, un barcone si è spezzato e rovesciato e di alcune decine di migranti si è persa ogni traccia. Nelle stesse ore la nave dell’ONG Open Arms ha salvato 146 persone, tra le quali due donne al quarto mese di gravidanza, 58 minori (la gran parte non accompagnati) e un neonato di appena tre mesi. Intanto, sulla rotta balcanica si consuma un’altra tragedia, migliaia di ragazzi e ragazze non accompagnati e migliaia e migliaia di adulti, camminano nel gelo, per sottrarsi ai respingimenti effettuati dalle polizie di alcuni paesi europei - compreso il nostro - per ricacciarli in Bosnia.
Credo di non sbagliarmi, signor Presidente del Consiglio, se dico che di tutto ciò non si è parlato affatto nelle consultazioni per la formazione del suo governo; e se ne è parlato solo fugacemente - e Dio solo sa quanto maldestramente - in alcuni interventi nel corso del dibattito sulla fiducia. Eppure, si tratta di temi cruciali proprio per il futuro di quell’Europa che, grazie anche alle speranze riposte nel suo esecutivo, rappresenta un orizzonte imprescindibile per la politica italiana dei prossimi anni. Nella sua replica al Senato, lei ha collocato la politica per l’immigrazione del nostro paese «nell’ambito del cosiddetto ‘Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo’». Si tratta di nuove proposte che fanno seguito al fallimento dei negoziati «per la riforma del sistema comune europeo di asilo ma che non sciolgono lo stallo politico che continua a bloccare l’azione dell’Unione Europea specie sulla declinazione del principio di solidarietà».
È questo il nodo fondamentale che il suo governo deve affrontare e che richiede l’azione politica più coesa e incisiva per sconfiggere le resistenze di molti paesi dell’Unione e le diffuse tendenze alla chiusura e all’esclusione, che affiorano nel senso comune di un’Europa attraversata da paure e angosce.
È questione determinante affinché davvero la politica per l’immigrazione diventi programma condiviso a livello continentale. E nel frattempo? Nel frattempo c’è moltissimo da fare qui, in Italia. Per questo mi rivolgo a lei, perché il suo profilo di democratico e di europeista intransigente può rappresentare una garanzia: per quegli uomini, quelle donne e quei bambini in pericolo, di cui prima ho detto. E per le ONG Open Arms, Sea-Watch, Mediterranea, SOS Mediterranee, Medici Senza Frontiere, Emergency, ResQ, la cui presenza nel Mediterraneo costituisce oggi la sola possibilità di salvezza per migliaia e migliaia di naufraghi. E una garanzia, ancora, per il Comitato per il Diritto al Soccorso, formato da giuristi, docenti di diritto internazionale e intellettuali, che si sono uniti per svolgere una funzione di tutela morale delle ragioni del soccorso in mare e un ruolo di difesa legale per le ONG.
Infatti, ormai da anni, i successivi governi - certo, non tutti nello stesso modo - hanno messo in atto politiche di deterrenza e di sicurezza dei confini che hanno finito per trasformare il Mediterraneo centrale nella rotta migratoria più letale al mondo; hanno contraddetto consolidate norme internazionali, che impongono il dovere di soccorso e vietano i respingimenti collettivi.
In questi anni, le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa hanno criticato severamente, a più riprese, l’inadempienza dell’Italia rispetto ai propri obblighi internazionali (di soccorso in mare, accesso alla protezione, tutela dei diritti umani). In questo stesso periodo, l’Italia, dopo la conclusione dell’operazione Mare Nostrum, ha progressivamente abbandonato le attività di coordinamento del soccorso e, attraverso il rafforzamento di politiche di esternalizzazione, ha delegato a terzi il controllo delle frontiere. Ne è conseguito il nefasto memorandum Italia-Libia e la collaborazione con la guardia costiera di quel paese nella repressione dei flussi provenienti dal Nord Africa, con effetti tragici in termini di vite umane e di violazione dei diritti fondamentali (costantemente documentate dalle Nazioni Unite e da altri organismi indipendenti).
È stata in primo luogo l’abdicazione dell’Italia e degli Stati costieri dal compito di soccorrere i naufraghi, come previsto dal diritto internazionale, a rendere indispensabile l’azione delle organizzazioni umanitarie, e così prezioso il loro ruolo, in particolare nel Mediterraneo centrale. Eppure, le stesse organizzazioni ormai da tempo sono oggetto di una virulenta campagna di delegittimazione che, colpendo esse, finisce con l’aggredire lo stesso irrinunciabile principio del diritto-dovere al soccorso. Tuttavia, fino a oggi, le indagini giudiziarie nei confronti delle ONG si sono risolte tutte in un nulla di fatto e non c’è stato un solo rinvio a giudizio per i membri degli equipaggi e per i volontari delle organizzazioni.
Nonostante questa inoppugnabile conferma della loro buona fede e della loro onestà, le imbarcazioni delle ONG hanno subito numerosi fermi amministrativi, così che la loro attività è stata bloccata per mesi, lasciando il Mediterraneo completamente sguarnito di ogni presidio e senza tutela quanti lo attraversavano per raggiungere l’Europa. In ogni caso, le ONG del mare hanno continuato a svolgere la propria missione, che è quella antica e sacrosanta di salvare chi si trova in pericolo. Ora, in presenza della novità politica rappresentata dal suo governo, signor Presidente del Consiglio, le ONG del mare e chi le sostiene, come il Comitato per il Diritto al Soccorso, vorrebbero intensificare l’interlocuzione con le istituzioni del nostro paese.
Già qualcosa in passato è stato fatto - il ministro Luciana Lamorgese ne è testimone - ma ciò che oggi si chiede è che il rapporto diventi stabile, fatto di un confronto costante e di assidui scambi di informazioni. Gli obiettivi prioritari da perseguire sono: un sistema istituzionale efficiente ed attrezzato per il soccorso in mare; un meccanismo predefinito per lo sbarco tempestivo delle persone soccorse nel porto sicuro più appropriato. Per questo contiamo sulla sua disponibilità e su quella del ministro dell’interno Luciana Lamorgese e del ministro delle infrastrutture e dei trasporti Enrico Giovannini. Nel suo discorso in Parlamento uno dei passaggi che più hanno colpito l’opinione pubblica e gli osservatori è stato questo: «la speranza» che i giovani «non abbiano di che rimproverarci per il nostro egoismo».
In nome dei principi della Convenzione europea dei diritti umani, ci auguriamo che, tra quei giovani, possano annoverarsi anche coloro che cercano di raggiungere l’Italia dall’Est e dal Sud: a piedi nel gelo o su barconi precari; e che «il nostro egoismo» non costituisca un muro eretto a difesa dei nostri confini.
di Luigi Manconi - La Stampa
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