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Ambiente: Stiamo finendo anche l'incenso

Redazione
Pubblicato il 18-07-2019

L’incenso è una resina aromatica secreta da piante del genere Boswellia, diffuse nella Penisola Arabica e sulle coste dell’Africa orientale. L’uomo lo usa da millenni. Gli antichi imbalsamatori egizi ci imbottivano le mummie, i Magi lo portarono in dono a Gesù. La sabbia e la ghiaia, invece, sono materiali prodotti dalla frantumazione delle rocce per effetto di agenti naturali. E quindi, che c’entrano l’incenso e la sabbia? Nulla, se non fosse per noi, che consumiamo sempre di più dell’uno e dell’altra. L’incenso potrebbe non durare a lungo, secondo uno studio pubblicato all’inizio di luglio su Nature Sustainability da Frans Bongers e colleghi dell’Università di Wageningen, nei Paesi Bassi.

Osservando un campione di circa 22.000 piante della specie B. papyrifera, oggi la principale fonte di incenso, i ricercatori olandesi hanno rilevato pochi alberi giovani e una rigenerazione naturale praticamente assente per decenni, oltre a sovrasfruttamento e a un degrado dell’habitat che ne mettono in pericolo la produzione futura. Da qui a vent’anni, hanno concluso, l’incenso disponibile potrebbe ridursi della metà. E passi per l’incenso. Ma possibile che stiamo consumando troppa sabbia? Possibile. A lanciare l’allarme dalle pagine di Nature è Jim Best, professore di geologia dei sedimenti all’Università dell’Illinois, insieme a tre colleghi.


La usiamo per un’infinità di funzioni, dalla costruzione di edifici al vetro, fino ai computer. Ed è il materiale che estraiamo in maggior quantità, compresi i combustibili fossili, prelevandola soprattutto dall’alveo dei fiumi, perché la sabbia dei deserti è troppo liscia per i nostri interessi. Ebbene, abbiamo raggiunto il punto in cui la domanda di sabbia e ghiaia supera il naturale ripristino di queste risorse. E il prezzo è destinato a salire. Ma non solo.

L’attività estrattiva – commentano Best e colleghi – ha un impatto di vasta portata sull’ecologia, sulle infrastrutture e sulla vita di tre miliardi di persone che vivono lungo i fiumi. L’estrazione  di sabbia dal fiume delle Perle, il terzo fiume cinese per lunghezza,  ha fatto abbassare la falda freatica, rendendo più arduo l’approvvigionamento di acqua e danneggiando ponti e argini. Nel delta del Mekong 500.000 persone dovranno essere sgomberate per il collasso degli argini. Nel Gange l’erosione ha distrutto i luoghi di nidificazione dei  gaviali,  una specie di coccodrilli già in pericolo di estinzione. Alla fine, questa è l’impronta dell’Antropocene. Uno sfruttamento insostenibile delle risorse.


Marco Cattaneo, Repubblica 

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