Le visite dei pontefici
Un minuto di silenzio. Non quello cupo delle città deserte, senza auto e passanti per strada cui ci stiamo tristemente abituando. Sarà un silenzio rituale. Corale, carico di significato. Una preghiera laica.
Oggi a mezzogiorno i sindaci di tutti i Comuni d’Italia, in fascia tricolore davanti al Municipio con la bandiera a mezz’asta, osserveranno un minuto di silenzio per commemorare i caduti di questa guerra impropria e terribile contro il coronavirus, che ha già mietuto tante vittime. L’idea è partita, e non poteva essere altrimenti, dai 243 sindaci della provincia di Bergamo, la terra più martoriata, dove il lutto ha assunto tali proporzioni e tali immagini, con il corteo di camion militari carichi di bare, che avrebbe commosso anche il più distratto e insensibile degli uomini.
E poi tutti gli altri Comuni hanno aderito. Il silenzio sarà non soltanto una commemorazione. Sarà anche una occasione di raccoglimento, una manifestazione di rispetto, di cordoglio per chi non ha resistito all’attacco del virus, e di ringraziamento, quasi di risarcimento per chi è caduto combattendo senza armi adeguate in prima linea: la comunità nazionale non si sdebiterà facilmente con quei medici e quegli infermieri che per cercare di salvare vite altrui hanno perso la propria.
La cerimonia del minuto di silenzio è nata subito dopo la Prima Guerra Mondiale, i cui immani massacri agirono tanto sulle coscienze e le immaginazioni di tutti gli uomini della terra. Su iniziativa partita dalla periferia dell’Impero britannico, da uno scrittore e politico del Sud Africa, Percy FitzPatrick, re Giorgio V stabilì che il Silenzio fosse rispettato l’11 novembre del 1919, anniversario dell’armistizio.
La guerra era terminata da un anno. Noi siamo ancora in guerra, negli ospedali i veri combattenti, ma persino noi, nelle trincee più comode ma alla lunga soffocanti delle nostre case. Non sappiamo quando tutto finirà. Quando riapriranno le scuole, gli uffici, i cinema, i teatri, i musei, i negozi che non siano quelli dove troviamo il cibo per la nostra sussistenza.
Quando semplicemente potremo tornare a passeggiare sul mare o in un giardino di città, e sentiremo di nuovo le voci squillanti dei bambini che giocano. Così, il minuto di silenzio sarà anche augurale. Sarà un segno che l’Italia è ancora in piedi, con tutte le sue difficoltà, e sarà un invito alla speranza. C’è stato il momento in cui la voglia di resistenza e di futuro si è espressa con una esplosione di canti e di musiche dai balconi: ho cercato di capire questo fenomeno, ma confesso che non ci sono riuscito.
Quest’anima allegra, canzonettistica dell’Italia è la sua simpatica fortuna da un lato, ma dall’altro è la sua debolezza e la sua miseria. Questa epidemia è una tragedia. Difficile da capire per chi il senso del tragico e della morte l’ha del tutto perduto. Il minuto di silenzio di stamattina ce lo ricordi: tante vite sono state spezzate, tante orribili separazioni si sono consumate, tanti vecchi sono stati spazzati via – del resto c’è chi prima aveva pensato di togliergli anche il voto- e c’è chi non ha avuto neppure il conforto di una degna sepoltura.
Cosa deve succedere di più per indurci al raccoglimento, alla riflessione e alla preghiera, laica o religiosa, ma sempre preghiera, senso di devozione, di sottomissione al mistero della vita e della morte? A mezzogiorno, il minuto di silenzio voli alto sul cielo d’Italia, e zittisca anche politici troppo loquaci e intellettuali troppo garruli. Poi la guerra finirà, e allora bisognerà ricominciare a parlare, ma non saranno canzonette, sarà un chiedere conto di errori, inadempienze, confusioni nella gestione della crisi. Ma per ora, che si muore, valgano per tutti silenzio e pietà.
Giuseppe Conte, Il Giornale
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