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Secoli francescani in Cina

Redazione
Pubblicato il 30-11--0001

La missione francescana in Cina si colloca nel corso di un periodo turbolento e di globalizzazione internazionale: un tempo non dissimile dal nostro. Il secolo che attraversa questo momento storico, che va dal 1250 circa al 1350, iniziò con una guerra globale, con ondate di cavalieri mongoli che si scontrarono in tutta l’Asia fino a coinvolgere vaste aree dell’Europa orientale. L’era si concluse con lo spettro di una pandemia spaventosa, la peste bubbonica, la grande peste del 1348 che da quel momento in poi mutò indelebilmente la vita di tutti gli europei, decimati dalla piaga. Vent’anni dopo, a tutto ciò si aggiunse la nascita della dinastia Ming e la strategia di forte isolazionismo che per due secoli chiuse le porte di scambio tra Oriente e Occidente.

Doveva essere stato un momento toccante per Niccolò IV, il primo papa francescano, quando celebrò la Pasqua del 1288 nella chiesa di San Giovanni in Laterano: solo sessanta anni erano passati dalla canonizzazione di Francesco d’Assisi, quel “piccolo uomo” apparso in sogno a papa Innocenzo III e che aveva salvato la Chiesa e tutto il suo tempo. Tra i concelebranti di quella memorabile Pasqua romana c’era un ospite importante, il monaco mongolo Rabban Bar Sauma (circa 1230-1294), ambasciatore della Chiesa assira d’Oriente in Europa. Niccolò affidò a Rabban Bar Sauma una preziosissima tiara come dono a Mar Yaballaha, il patriarca della Chiesa d’Oriente.


Il viaggio di Rabban Bar Sauma verso Roma era durato circa tredici anni, attraverso enormi distanze e terreni ostili, interrotto da guerre e disordini locali. Ciò che lo distinse dagli altri diplomatici che accorrevano a Roma era la sua provenienza: Rabban Bar Sauma era nato in Cina, a Pechino, diventato monaco nestoriano e inviato ufficiale del Gran Khan Khubilai. La sua presenza a Roma durante la Pasqua, l’aver portato con sé doni rari e meravigliosi da una terra antica e sofisticata, insieme alla richiesta ufficiale del Gran Khan di inviare monaci da Roma per l’evangelizzazione, sembrò un evento epifanico al nuovo papa. Niccolò IV ribadì la fondamentale importanza delle missioni francescane per diffondere la parola di Dio nel mondo e proprio nel momento in cui l’Ordine, sotto la guida del papa stesso, aveva raggiunto il suo momento apicale. Sulla scia della contingenza storica positiva, nell’estate del 1289 papa Niccolò scelse Fra Giovanni da Montecorvino come missionario in Cina, incaricandolo di dare vita ad una nuova comunità francescana. Già nel 1299, Fra Giovanni riuscì a edificare la sua prima chiesa a Pechino. La missione francescana in Cina era entrata nella sua fase più vivace.


Tra il XIII e il XIV secolo, grazie alla pax mongolica instaurata con l’impero di Gengis Khan in tutto il Medio ed Estremo Oriente, i frati francescani continuarono a partire alla volta della Cina con missioni fruttuose, predicando il Vangelo ai migliaia di abitanti che scelsero di abbracciare il cristianesimo latino. I missionari francescani patrocinarono in maniera attiva le relazioni tra i papi di Roma e la dinastia mongola Yuan di Pechino, diventandone in numerose occasioni i principali “corrieri” per ciò che concerneva scambi di rilevanza diplomatica. Più sporadicamente verso la fine del XIII secolo e poi con una certa regolarità nel corso della prima metà del XIV secolo, missive e doni reciproci viaggiarono avanti e indietro tra Roma a Pechino, senza che le migliaia di chilometri spaventassero un solo frate.

Da ciò che scrive Lauren Arnold apprendiamo come le testimonianze storiche documentino, dal 1295, l’identificazione di più di cento opere con provenienza cinese o mongolica e donate ai pontefici: seta, metalli e altri oggetti preziosi straordinariamente variopinti (Princely gifts and Papal treasures: the Franciscan mission to China and its influence on the art of the West, 1250-1350, San Francisco 1999). L’inventario papale del 1314 registra ad esempio un papirum tartaricorum, una pergamena molto colorata probabilmente di origine cinese. E verrebbe così da avvalorare la tesi che vede un’evidente influenza da parte delle atmosfere pittoriche proprie della cultura cinese sugli affreschi coevi occidentali – Giotto in primis – che raffigurano la storia del Francescanesimo, e dunque nei paesaggi e nelle solide figure dalle forti tonalità accese. E non si dimentichi che proprio grazie a Giotto e bottega, un cavaliere mongolo appare nel Polittico Stefaneschi (circa 1300-1320) oggi conservato nei Musei Vaticani. E così come Ambrogio Lorenzetti ritrasse, in un affresco senese datato 1330, tre guerrieri tartari che assistono con raccapriccio al martirio subito a Tana, in India, da alcuni francescani, Simone Martini rappresentò un angelo rivestito da tipici panni tartarici nella sua Annunciazione del 1332.

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