Le visite dei pontefici
Non sempre il dialogo è facile. Per i cristiani, però, la paziente
e fi duciosa ricerca di esso costituisce un impegno da
perseguire sempre. Contando sulla grazia del Signore che
illumina le menti e i cuori, essi restano aperti e accoglienti
verso quanti professano altre religioni. Senza smettere di
praticare con convinzione la propria fede, cercano il dialogo
anche con chi cristiano non è. Essi tuttavia sanno bene che
per dialogare in modo autentico con gli altri è indispensabile
una chiara testimonianza della propria fede.
Questo sforzo sincero di dialogo suppone, da un lato, l'accettazione
reciproca delle differenze, e talora persino delle
contraddizioni, come pure il rispetto delle libere decisioni
che le persone assumono secondo la propria coscienza. È
quindi indispensabile che ognuno, a qualsiasi religione appartenga,
tenga conto delle inderogabili esigenze della libertà
religiosa e di coscienza, come ha ben posto in luce il Concilio
Ecumenico Vaticano II (cf. Dignitatis humanae, 2).
Esprimo l'auspicio che tale solidale convivenza possa avverarsi
anche nei Paesi in cui la maggioranza professa una religione
diversa da quella cristiana, ma dove vivono immigrati
cristiani, che purtroppo non sempre godono di una effettiva
libertà di religione e di coscienza.
Se tutti saranno animati da questo spirito, nel mondo della
mobilità umana, quasi come in una fucina, verranno a crearsi
provvidenziali possibilità di un dialogo fecondo, nel quale
non sarà mai smentita la centralità della persona.
È questa
l'unica via per alimentare la speranza “di allontanare lo spettro
delle guerre di religione che hanno rigato di sangue tanti periodi della
storia dell'umanità”, e hanno forzato non di rado tante persone
ad abbandonare i propri Paesi. È urgente operare affi nché
il nome dell'unico Dio diventi, qual è, “sempre di più un nome
di pace e un imperativo di pace” (cf. NMI 55) (Giovanni Paolo
II, Messaggio per la 88a Giornata mondiale del migrante e del
rifugiato Migrazioni e dialogo interreligioso).
Nel nostro contesto, frammentato e precario, le religioni
possono costituire un valido aiuto nel progettare esperienze
di fraternità e di dialogo fondate sul rispetto reciproco, sulla
fi ducia, partendo dal territorio abitato, dalle esperienze “in
loco”, dalle risorse comuni, dalle piccole forze e progettualità.
Occorre guardarsi attorno per riconoscere la presenza dello
straniero, nella consapevolezza – però – che l'altro è già in
mezzo a noi, che lo straniero è dentro di noi. Il dialogo globalizzato,
o la comunicazione virtuale, priva di relazionalità,
può divenire efficace, signifi cativo, se sostenuto da incontri
locali, da piccole esperienze di vita quotidiana. Si tratta di
passare dai “non luoghi” (oramai divenuti “super luoghi”), gli
spazi anonimi e impersonali delle metropoli (stazioni, centri
commerciali, metrò), ai “luoghi abitati”, gli spazi personalizzati
ove è possibile tessere legami d'amicizia e relazioni fraterne
(le comunità religiose).
In questo, anche la Chiesa cattolica
dovrebbe essere avvantaggiata perché “esperta in umanità” e
in quanto per sua natura è dialogica, missionaria, posta nel
mondo per annunciare Cristo.
di Edoardo Scognamiglio
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