Le visite dei pontefici
Sul versante settentrionale della Basilica Inferiore di San Francesco
in Assisi, negli spazi di risulta tra pilone e pilone, si snoda
la serie ininterrotta delle cappelle di vario giuspatronato, addossate
alla “sepulchralis Ecclesia” tra la fi ne del XIII secolo e gli
inizi del secolo successivo.
All'inizio della navata, a destra, si apre il valico di accesso alla
cappella di Santo Stefano, in origine dedicata San Ludovico
d'Angiò, O. Min. La decorazione della suddetta Cappella,
destinata ad illustrare la vita e il martirio del diacono proto-
martire, fu affi data dall'omonima Confraternita assisiate
al magistero artistico di Dono Doni, che avviò i lavori tra il
1573 e il 1574, senza peraltro poterli condurre a termine. Il
pittore assisiate moriva infatti il 17 giugno 1575 per essere poi
tumulato nella tomba di famiglia nel remoto Chiostrino dei
Morti, attiguo alla Basilica francescana. La decorazione della
Cappella è pertanto l'ultima fatica, incompiuta, del pittore assisano,
ormai ultrasettantenne, nell'ambito del diramato circuito
della Basilica. Una sorta, insomma, di tacito commiato.
In precedenza il Pittore aveva affrescato un Calvario (ca. 1549)
di vasto impianto nel Refettorio grande del Sacro Convento,
andato poi sconsideratamente distrutto nelle operazioni
di rimpello settecentesco. Aveva realizzato anche un'Ultima
Cena, commissionatagli nel 1573 dal p. M° Gregorio Penna,
OFMConv, per il cosiddetto Refettorio piccolo. Nel 1564 aveva
iniziato il ciclo delle Storie di San Francesco e di Santa Chiara, a
monocromo, nel doppio loggiato del Chiostro di Sisto IV, dove
aveva ripreso la tradizione popolare del Collis Inferni, con tanto
di forche in bellavista; e dove aveva esemplato il racconto del
Lupo di Gubbio, volgarizzato nel XXI capitolo dei Fioretti, divenendo
così l'indiscusso “responsabile dei rinnovati programmi decorativi realizzati nella Basilica di San Francesco dopo l'indimenticabile
epopea trecentesca”. (E. Lunghi)
Il ciclo delle Storie di Santo Stefano costituisce, in breve, l'esito
fi nale del pittore assisano, intento a rendere “più aulico e solenne
quel michelangiolismo di derivazione vasariana cui è improntata
la sua ultima attività, accordandolo con la tradizione rinascimentale
umbra, ben assimilata negli anni giovanili accanto allo Spagna. Dono
si pone così sulla linea con quelle tendenze arcaicizzanti che, sulla
spinta tridentina, stavano prendendo sempre più piede e forma e che
un successo particolare riscuotevano proprio in ambito francescano”.
(P. Mercurelli Salari)
Alla luce di queste rapide annotazioni, acquista allora un senso
altamente patetico l'autoritratto parlante che Dono Doni ha
voluto lasciare ai posteri nella parete est della suddetta Cappella,
lì dove si narra appunto la Disputa di Santo Stefano con i
dottori della sinagoga. In quella scena affollatissima, dove tutti
i fi guranti sembrano pendere dall'ispirata dialettica del santo
diacono, girando perfi no le spalle agli osservatori, appare all'improvviso
– sul limitare della scena, a destra – l'espressivo
ritratto del Pittore, identifi cabile senza ombra di dubbio per
essere l'unico personaggio rivolto decisamente verso il pubblico.
Il pittore, in posa stante ed in abito da gala color cenerino,
indossa il tòcco a tagli e sbuffi , ad indicare lo stato sociale di
appartenenza. Fiutando ormai il vento della morte, il pittore è
in atto di accommiatarsi, con signorile maniera, dal suo pubblico,
mentre cambia rapidamente per lui, inventore di scene,
la fugace scena di questo mondo.
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