Leggere il Testamento di Francesco(11)

di Grado Giovanni Merlo

Dopo aver enunciato le procedure, per dir così, disciplinari nei confronti dei frati/fratelli che «siano trovati a non fare l’ufficio secondo la regola e vogliano in altro modo variarlo o non siano cattolici», frate Francesco, quasi temendo di essersi spinto troppo in là sul piano “giuridico”, fa un’importante precisazione: «E non dicano i fratelli: Questa è un’altra regola; perché questa è rimembranza, ammonizione, esortazione e mio testamento, che io, fratello Francesco piccolo, faccio a voi, miei fratelli benedetti, per questo: affinché osserviamo meglio cattolicamente la regola che abbiamo promesso al Signore».

Queste importanti e impegnative affermazioni vogliono chiarire il senso profondo dello scritto finale di un uomo che sentiva non lontana la propria fine terrena e che, ricordiamo, non ricopriva alcun incarico direttivo nell’Ordine dei frati Minori. Eppure, era frate Francesco, era colui che pur parvus/piccolo aveva da lasciare ai suoi frati/fratelli – probabilmente soprattutto a quelli che non l’avevano conosciuto in vita e a quelli che non avrebbero potuto conoscerlo di persona in futuro – una serie di indicazioni a modo di «rimembranza, ammonizione, esortazione», che tutte insieme costituivano il suo «testamento»: il lascito che è stato giustamente definito «l’eredità difficile». Difficile era seguire il “francescanesimo subordinativo” di frate Francesco, che coincide con la sequela del Cristo: una sequela che deve avvenire nell’osservanza più rigorosa possibile della tradizione cattolica («melius catholice»), ovvero la tradizione di piena ortodossia teologica e sacramentale di cui era garante e custode la Chiesa di Roma; una sequela che coincide con i contenuti rigorosi della regola, che i frati/fratelli hanno promesso, promettono e prometteranno «al Signore»