opinioni

La banalità del MALE

Savino Pezzotta
Pubblicato il 30-11--0001



Le cronache di ogni giorno sono piene di uccisioni, di violenze, di ladrocini, corruzioni e maldicenze. Ci presentano fenomeni come quelli che portano molti a correre sul luogo in cui è stata assassinata la giovane Sarah Scazzi, non per un moto di pietà ma di morbosità insana. Non ci si rende conto di come si possa uccidere un uomo solo per aver investito il cagnolino, di come si possa dar fuoco a un clochard, delle violenze che si consumano nelle famiglie. Anche nella politica: siamo costretti a vederne di tutti i colori. Qualcuno ha defi nito tutto questo come conseguenza della banalizzazione del male, ossia della perdita della coscienza del bene e del male, riducendo tutto ad esperienza da farsi, senza alcun rimorso. Anzi, ci si vanta delle malefatte e ci si colloca tra i furbi per giustifi care i mal comportamenti pubblici e privati. Si sono installati tra noi comportamenti spogli di ogni riferimento etico e di senso religioso. La banalità del male è nell'inconsistenza e nell'assopimento delle coscienze: il male perde così la sua dimensione metafi sica per divenire comportamento. La banalità del male può essere sconfi tta se si riprende un impegno e un cura profonda dell'umano e della sua dignità. Del resto questo a me sembra l'orientamento contenuto nella “Caritas in Veritate”, una lettera che il Santo Padre ci ha scritto per aiutarci a superare il “vuoto di pensiero” che purtroppo le dinamiche del consumismo edonistico hanno generato e implementato nel cuore dei nostri contemporanei.

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