cronaca

Mafia, Spatuzza: Don Puglisi voleva impossessarsi del nostro territorio, perciò lo uccidemmo

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

«Purtroppo, e mi dispiace tantissimo, ho commesso, con vari ruoli, una quarantina di omicidi». Comincia così, con la confessione dei delitti di mafia cui ha partecipato, la deposizione del pentito Gaspare Spatuzza al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia, nell'aula bunker del carcere romano di Rebibbia. Per interrogarlo si è mosso da Palermo il pm Nino Di Matteo, oggetto di diverse intimidazioni mafiose, minacciato anche dal boss corleonese Totò Riina, attraverso le confidenze fatte da questo'ultimo al suo compagno di cella.

TRATTATIVA - «Graviano non usò mai con me l'espressione trattativa. Disse che c'era una cosa in piedi. Allora io, inserendo quella frase nel contesto in cui venne pronunciata, capii però che alludeva a un accordo, a una trattativa», ha detto il pentito rispondendo a Di Matteo, che gli ha contestato che in altre occasioni aveva espressamente parlato di trattativa. «Graviano non lo disse», ha risposto, «ma se non era trattativa quella cosa lo è?».

DON PUGLISI - Tra gli assassinii commessi il collaboratore di giustizia Spatuzza ha citato quello di don Pino Puglisi, il sacerdote del quartiere palermitano di Brancaccio, ammazzato nel '93. «Padre Puglisi voleva impossessarsi del nostro territorio», ha raccontato, «Prima lo controllammo, poi si decise di ucciderlo. Volevamo simulare un incidente perché sapevamo che un omicidio di un prete avrebbe avuto conseguenze, poi però optammo per il delitto classico». «Era un sacerdote che andava per conto suo», ha raccontato, «E dava fastidio. Quella della sua eliminazione era una pratica aperta da almeno due anni». «In piena campagna stragista», ha spiegato, «nonostante avessimo sospeso le attività ordinarie, dovemmo occuparci di don Puglisi: questo per fare capire quanto dava fastidio». Spatuzza fu tra gli esecutori materiali del delitto insieme a Salvatore Grigoli. «Si decise di simulare una rapina», ha detto, «Usammo una pistola di piccolo calibro per dissimulare la mano mafiosa». «Un capomafia», ha concluso, «non poteva tollerare che un prete si muovesse per conto suo e doveva dimostrare chi comandava a Brancaccio».

VIA D'AMELIO - Al centro dell'udienza di oggi anche la strage di via D'Amelio, sulla quale proprio ieri è emersa la notizia relativa ad una confidenza che il boss Totò Riina avrebbe fatto al suo compagno di cella, raccontandogli che sarebbe stato proprio Paolo Borsellino ad azionare l'ordigno che l'ha ucciso, nascosto nel citofono dell'abitazione della madre del giudice. Il pentito Spatuzza, deponendo al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia, si è invece soffermato su altri particolari, descrivendo il misterioso uomo incontrato il giorno prima della strage nel garage in cui venne portata la 126 imbottita di tritolo e fatta poi esplodere: «Non era un ragazzo, né un vecchio. Doveva avere 50 anni. Non l'avevo mai visto prima, né lo vidi dopo quella volta. Di certo non era di Cosa nostra». «In questi anni», ha aggiunto Spatuzza, «mi sono sforzato di dare indicazioni su di lui, ma lo ricordo come un negativo sfocato di una foto». Il personaggio, ancora non identificato, secondo il pentito partecipò dunque alla fase preparatoria dell'attentato. Spatuzza ha descritto il suo ruolo nel furto della 126 e delle targhe da sostituire e nel trasferimento della macchina da Brancaccio al garage nella zona della Fiera di Palermo, a poca distanza da via D'Amelio. «Non mi allarmò la presenza di quell'uomo», ha raccontato, «perché se era lì era perché Giuseppe Graviano (il boss di Brancaccio ndr) lo voleva». Negli anni gli inquirenti hanno sospettato che il personaggio descritto dal pentito appartenesse ai Servi segreti o fosse l'esperto usato dalla mafia per gli aspetti tecnici dell'attentato.(Corriere)

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