L'economia francescana, una risposta alla crisi economica

Redazione online
Pubblicato il 23-05-2018



Il momento storico che stiamo vivendo e l'inizio del nuovo anno ci portano a riflettere sul vero significato di economia, sul bene comune e soprattutto sull'impegno che i cristiani, e in modo particolare i francescani, possono apportare alla vita economica e sociale del nostro Paese. 'La Perfetta Letizia' ne ha parlato con la prof.ssa Vera Negri Zamagni, economista e docente di Storia economica presso la Facoltà di Economia dell'Università di Bologna.

D. Guardando indietro nei secoli ci rendiamo conto che già intorno al 1400-1500 si individua quella che viene chiamata 'economia civile o economia francescana', un'economia che pone al centro la persona umana e non il guadagno. Ce ne vuole parlare?
R. Sono proprio i francescani a dare avvio ad una riflessione sull'attività economica, che ha portato alla nascita dell'economia moderna. I piloni portanti di questa riflessione sono i seguenti:
1) chi esercita l'attività economica deve farlo per il bene comune, un principio che attiva una dinamica “inclusiva”, in quanto l'agente economico non lavora solo per sè, ma anche per altri;
2) per ottenere lo scopo di includere anche altri, l'agente economico deve investire per allargare la dimensione delle proprie attività; il “capitale” non deve dunque restare ozioso o essere consumato da chi lo possiede, ma deve “girare” per produrre posti di lavoro, reddito, benessere anche per altri; in questo modo, l'agente economico è legittimato come “bene-fattore” della comunità, perchè aiuta la città a prosperare ed è giusto che utilizzi per sè parte del risultato delle sue fatiche;
3) ma non basta: molti sono i motivi per cui non tutti possono essere inclusi nel circuito del lavoro (malati, handicappati, vecchi, bambini a cui occorre insegnare un lavoro), perciò il bene comune richiede che tutte queste persone vengano aiutate. Dunque una parte delle risorse prodotte va destinata ad opere di assistenza e sostegno (in seguito chiamate welfare); infine
4) la città deve essere vivibile per tutti, il che implica che un'altra parte delle risorse debba essere destinata alle infrastrutture civili (le “opere pubbliche”), incluse le chiese, le fontane, i giardini. E' così che le città italiane diventarono faro di progresso e ricchezza, insegnando al resto dell'Europa e poi del mondo come costruire un'economia dinamica e sostenibile.

D. Il francescanesimo con il suo criterio di essenzialità, di povertà e per il valore che dava al denaro è stato terreno fertile per la nascita di un'economia 'antieconomica' ma certamente cristiana. Come mai, a suo avviso, il modello economico francescano non ha trovato sviluppo?
R. L'economia nata dalla riflessione francescana non può essere chiamata “antieconomica”, perchè è la “vera” economia, di sicuro diversa da quella che conosciamo oggi, che tuttavia ancora mantiene importanti tracce dell'ispirazione francescana. Non è nemmeno vero che l'economia francescana non abbia trovato sviluppo. Potremmo dire che ne ha trovato anche fin troppo, il problema è che durante tale sviluppo sono riemersi elementi non cristiani che il francescanesimo aveva cercato di eliminare. La principale deviazione dall'ispirazione originaria ha a che vedere col bene comune. L'economia capitalistica ha ristretto assai il concetto di bene comune, facendolo coincidere con il bene di un minuscolo sotto-insieme di coloro che partecipano all'attività produttiva, ossia i detentori del capitale e i manager, mentre ai lavoratori viene dato solo un salario di sussistenza. L'investimento resta il motore delle nostre società, ma spesso non è sufficientemente inclusivo, lasciando troppe persone disoccupate. Welfare ed opere pubbliche vengono generalmente finanziate mediante tassazione, ma molti sono i problemi sia di quantità sia di qualità. Il vero motivo di ciò è che è tornata in auge una filosofia individualistica-utilitaristica che l'elaborazione francescana aveva cercato di superare proprio con il concetto di bene comune.

D. Pensa che il modello dell'economia francescana sia 'adattabile' anche ai nostri giorni e ritiene che possa essere un valido strumento per fronteggiare l'attuale crisi economica e morale?
R. L'economia francescana è adattabile a tutti i tempi, ma, contrariamente a quanto si è venuto erroneamente a credere, non è un'economia della miseria, ma un'economia dell'inclusione nel circuito del progresso. C'è chi sceglie la povertà per percorrere un sentiero di perfezione, ma l'obiettivo dell'agente economico (che non ha scelto la povertà) deve essere quello di condividere il benessere generato dalla sua attività, come ho sopra indicato, con tutti coloro che devono guadagnarsi da vivere, costruirsi una casa, allevare una famiglia.

D. In che modo nella società di oggi i francescani possono intervenire nel contesto sociale ed economico, rivalutando l'esperienza dei secoli passati?
R. Sarebbe tempo che i francescani volgessero la loro predicazione ed azione a ricordare a tutti che l'attività economica è fatta per il bene comune, e non per la ricchezza individualmente usufruita. E' questo il fondamento vero della nostra economia. Tutte le volte che la nostra economia si allontana troppo da questo fondamento deraglia, perchè non c'è limite all'avarizia e l'avarizia distrugge le società, mentre l'attività economica fatta per il bene comune le rende prospere, dinamiche e sostenibili nel tempo.

D. Esistono secondo lei oggi forme economiche francescane e se sì, quale atteggiamento viene loro riservato da parte delle Istituzioni?
R. Sì, esistono forme economiche di ispirazione francescana. Sono tutte quelle forme economiche cosiddette non-profit o cooperative, che lavorano per l'inclusione sociale e per l'equa distribuzione dei risultati del lavoro. Purtroppo qualche secolo di predominio del capitalismo ha reso le istituzioni (ma anche la mentalità comune) incapaci di concepire l'impresa come diversa da quella capitalistica. I francescani farebbero bene a far sentire forte la loro voce a favore di tutte quelle forme di impresa che non lavorano per il fine del profitto, ma per produrre bene e servizi utili alle persone, trattando equamente i lavoratori e reimpiegando gli avanzi a fine inclusivi. Quanto alle imprese capitalistiche, anche queste devono essere richiamate alla loro “Responsabilità Sociale”, un obiettivo che da qualche anno si va perseguendo con sempre maggior convinzione e che sta generando risposte talora molto interessanti.

La perfetta letizia di Monica Cardarelli

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