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Libia/La Chiesa con la gente Intervista al vescovo di Bengasi

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



Un appello perché “torni presto la pace e la riconciliazione” in Libia. A parlare è mons. Sylvester Carmel Magro, vicario apostolico di Bengasi, che descrive al SIR la lenta ripresa della sua comunità e della città di Bengasi, da mesi sotto il controllo degli insorti del Consiglio nazionale di transizione (Cnt). Secondo notizie dell'ultima ora – difficili da verificare – alcuni ex ufficiali libici fuggiti in Tunisia hanno riferito che le forze fedeli a Muammar Gheddafi hanno ucciso più di 15 mila libici e arrestato 30 mila persone dall'inizio della rivoluzione il 17 febbraio scorso. Lunedì prossimo la Corte penale internazionale dovrebbe decidere se incriminare il leader libico per crimini contro l'umanità.

Com'è la situazione oggi a Bengasi?
“La situazione a Bengasi non è più pericolosa come prima, perché ora i combattimenti si sono spostati nella zona di Tripoli, molto lontano da noi. C'è uno sforzo generale di ripresa, anche se la gente è ancora molto scossa da quanto accaduto. Si tenta di tornare alla vita di prima. La vita religiosa e civile sta riprendendo, siamo riusciti perfino a celebrare la Settimana Santa. Ora c'è più speranza”.

La Chiesa in Libia è rimasta accanto alla gente: come è maturata questa decisione?
“Quando ci siamo trovati nel momento più difficile ci siamo chiesti cosa fare: c'è stata una risposta unanime. Abbiamo deciso di rimanere, come Chiesa e come cattolici, per stare vicino alla gente. Al tempo stesso abbiamo dato la libertà di seguire la propria coscienza a chi volesse partire. Sono rimaste 30 suore che lavorano come infermiere negli ospedali. Non se la sono sentita di abbandonare la gente nel momento della sofferenza, per dare una testimonianza di Chiesa. Anche perché migliaia di infermiere filippine e indiane sono state evacuate dai rispettivi governi. Queste 30 suore –Congregazione Immacolata Concezione di Ivrea, suore polacche del Sacro Cuore, Orsoline del Sacro Cuore di Mantova, suore della Sacra famiglia di Spoleto e Congregazione di S. Anna – vivono e lavorano in ospedali pediatrici, reparti maternità o medicina a Bengasi e in altre città della Libia. Non hanno avuto contatti diretti con i feriti, ma gli ospedali in cui lavorano erano preparati a qualsiasi evenienza. Solo quattro persone sono andate via, alcune per problemi di salute o di età. In vicariato siamo ora sette sacerdoti, me compreso. Come pastore sento di dover stare accanto alla mia Chiesa, per cui continuiamo ad incoraggiare i fedeli. All'inizio del conflitto, a metà marzo, molti non si aspettavano che saremmo rimasti. Quando se ne sono resi conto c'è stato un momento di grande gioia e consolazione”.

La vita della comunità ha ripreso normalmente? Quanti cattolici ancora a Bengasi?
“All'inizio dei combattimenti abbiamo chiuso la chiesa perché la gente aveva paura di spostarsi. Però partecipavano alla messa nelle cappelle delle suore. Da un mese abbiamo ripreso a celebrare la messa ogni venerdì e la chiesa è piena, anche se siamo rimasti in pochi, solo 250 persone. I cattolici sono in maggioranza filippini, ma anche nigeriani, ghanesi e camerunesi. Prima seguivamo un totale di circa 10.000 cattolici, tutti immigrati. È stato un esodo tremendo. Ricordo con commozione quando li ho salutati al porto: 1.400 filippini si sono imbarcati con una nave, un'altra nave ha portato via gli indiani...”.

Quali altri momenti più dolorosi ricorda?
“Quando sono andato a benedire le salme dei due reporter, un inglese e un americano, uccisi a Misurata ad aprile. Le famiglie, anche se anglicane, mi hanno chiesto di officiare i riti funebri e mi hanno ringraziato. È stato un momento molto commovente”.

Cosa pensa dell'intervento militare occidentale?
“Non mi intendo di politica e un mio giudizio sarebbe al di là delle mie competenze. Aspettiamo e speriamo solo che torni la pace e che siano esaudite le nostre preghiere e i nostri sacrifici”.

Che rapporti avete con il Consiglio nazionale di transizione?
“Noi abbiamo sempre avuto buoni rapporti con tutti e anche ora continuiamo il nostro lavoro serenamente. La situazione sta lentamente tornando alla normalità”.

Vuole lanciare un appello?
“Pregate per noi. Speriamo che tutto si risolva per il bene del Paese e dei cittadini. La nostra preghiera è che torni presto la pace e la riconciliazione. Questa è ora la nostra grande sfida”. (SIR)

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