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L'ULTIMO SALUTO A PADRE PENEV

Maurizio Baglioni MAURIZIO BAGLIONI
Pubblicato il 30-11--0001

Il rito funebre è stato presieduto da padre Mauro Gambetti insieme ai confratelli del francescano

Nella Basilica inferiore di San Francesco sono stati celebrati i funerali di padre Vladimiro Loudvig Penev, originario della Bulgaria, decano del Sacro Convento, spentosi alla vigilia di Natale; aveva 90 anni. Il rito funebre è stato presieduto da padre Mauro Gambetti, Custode della comunità Conventuale di Assisi insieme ai confratelli del francescano; presente, fra gli altri, Kiril Liubomirov Topalov, Ambasciatore bulgaro preso la Santa Sede. Nato nel 1926, padre Penev era giunto in Assisi nel 1938; nel 1947 la professione perpetua, nel 1951 l’ordinazione sacerdotale.

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Padre Gambetti, nell’omelia, ha ricordato le tappe della vita di padre Vladimiro, sottolineandone la perseveranza di nel suo percorso spirituale, la sua ‘fede rocciosa in un corpo fragile’, la sua cultura, il suo talento artistico. Padre Vladimiro, di grande cultura e sensibilità, ultimo testimone anche bellico in Assisi, è stato abile pittore di icone e di soggetti sacri; ha dipinto anche gli stemmi degli ultimi cinque Papi, poi collocati sul protiro della Basilica Inferiore di San Francesco. Lo scorso anno, in occasione dell’Anno Santo della Misericordia, proprio in qualità più anziano della comunità, aveva aperto la Porta Santa della Basilica insieme al Custode e al Vescovo Sorrentino. Al termine del rito funebre padre Penev è stato tumulato nella cappellina dei Frati Conventuali del cimitero di Assisi.

OMELIA

La liturgia della Parola ascoltata, ripresa dalla odierna Festa di Santo Stefano, ci aiuta ad illuminare il mistero che celebriamo, nel quale diamo il nostro ultimo saluto a p. Vladimiro, che si è addormentato nel Signore con alle spalle più di 70 anni di professione religiosa, sazio di anni, più robusto dei robusti ottuagenari di Israele ricordati dal Salmo.

Una vita lunga, nella quale mi pare si possano scorgere i tratti del martirio incruento.

Richiamo alcuni passaggi della sua biografia. Vladimiro inizia in Assisi nel 1938, a 12 anni, la formazione per entrare nell’Ordine dei Frati minori conventuali. Siamo alle soglie della grande guerra e Assisi sarà coinvolta nelle vicende belliche, tanto da temere verso la fine, durante l’avanzata degli alleati, la distruzione come avvenne a Cassino. Ma i rischi in quel periodo furono all’ordine del giorno anche per l’impegno della Città e dei frati nel salvataggio di tanti ebrei. Vladimiro ricordava bene quegli eventi, con un misto di commozione e di fierezza, per la lontananza dagli affetti, le ristrettezze e le paure, ma anche per il valore e la nobiltà dell’impegno esemplare di molti frati. Poi, dal 1951 al 1976, p. Vladimiro ha vissuto l’itineranza lontano da Assisi, in vari conventi, proprio nella fase delle persecuzioni in Bulgaria, con la sofferenza di non poter rientrare in patria e, direi, di non avere una patria. Lo accosto ai profughi, profondamente legati alla propria famiglia e alla propria terra d’origine, ma costretti a rimanere lontano, in terra straniera. La malattia consigliò il suo rientro al Sacro Convento, la sua casa, dove sostanzialmente è vissuto fino ad oggi, fatta salva qualche sofferta parentesi come quella legata alle vicende del terremoto del ’97. Al Sacro Convento sono emersi più chiaramente i tratti della sua personalità. Vladimiro era un uomo d’animo nobile, dall’afflato artistico, intriso dei profumi delle rose di Bulgaria, volitivo e tenace, attento alle sfumature e alle espressioni di tenerezza nelle relazioni e a un tempo generoso e fedele nei rapporti. Ringrazio a tal proposito, a nome della fraternità della Custodia, tutti coloro che si sono resi presenti, anche da lontano: dalla Bulgaria, dal Brasile, dall’Angola, da Roma, dagli Abruzzi, dalle Puglie – confratelli, parenti, Istituzioni ed amici. E ringraziamo sentitamente quanti ci hanno aiutato ad accompagnarlo ed assisterlo, in specie negli ultimi mesi: Casimiro e Nevea, le Suore francescane missionarie di Assisi nella persona di sr. Giulia, il dott. Mauro. Vladimiro sapeva voler bene e si lasciava voler bene. Era molto sensibile tanto da patirne psichicamente. È stato molto provato nella vita, anche fisicamente, a più riprese.

Ebbene, egli “ha perseverato fino alla fine” e per questo “sarà salvato”.

Nel Capitolo 10 del Vangelo di Matteo, da cui è tratto il brano che abbiamo ascoltato, Gesù chiama a sé i discepoli e li invia ad evangelizzare. Ma li manda solo dopo aver conferito loro il proprio potere di scacciare gli spiriti impuri e di guarire; in un certo senso non li manda da soli. Infatti, come abbiamo udito, nella persecuzione non devono temere: lo spirito del Padre vostro parla in voi. È in questo orizzonte che va collocato l’invito di Gesù alla perseveranza. Si tratta di una perseveranza che è frutto di una Presenza. Il Vangelo di Matteo lo lascia intendere chiaramente con una inclusione che ha nel primo capitolo la rivelazione del nome di Gesù, l’Emmanuele, che significa Dio con noi (Mt 1,23b), e nell’ultimo versetto del Vangelo l’affermazione: “Ed ecco, io [Gesù] sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

Perciò, la perseveranza di cui parla Gesù non allude a uno sforzo di tenacia, ma all’autenticità dell’esperienza di un rapporto con Lui; piuttosto, tale perseveranza si caratterizza per una disinteressata pazienza che dura nel tempo.

Senza un sentore di tale Presenza un ragazzino non cresce bene lontano da casa, tra i pericoli; e senza intuire che Dio è vicino, è con te, un giovane frate non rimane fedele ad una vocazione itinerante e ad una forma di vita stringente, che chiede tanto impegno per assimilare un carisma come quello di Francesco. Vladimiro era quasi scrupoloso in questo e talvolta faceva sorridere, ma io credo che per lui tale Presenza fosse seriamente decisiva per la propria vita. Leggo così, ad esempio, le sue umili richieste per avere l’autorizzazione a non prendere parte alla celebrazione comunitaria della Messa o dell’Ufficio, anche se era chiaro che la condizione di salute non glielo permetteva.

“Perseverare fino alla fine” allude poi ad un ulteriore significato. L’espressione non è da intendersi semplicemente “fino alla fine della vita”, ma anche “fino in fondo”; cioè, perseverare fino a ché il volto misericordioso del Signore non compare al cuore, per prendersi cura della nostra debolezza e riconciliarci con il nostro limite, con la nostra creaturalità. Per questo, “chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato”, perché la salvezza gli si rivela al cuore. Quando si persevera fino a questo punto, la presenza del Signore diventa sensibile accanto a noi, pur nelle prove, e diviene generatrice di letizia. Quindi, una perseveranza che è fatta anche di consolazione per la gioia ritrovata, che dà il senso del cammino.

Penso sia stata l’esperienza vissuta da p. Vladimiro, che ha conosciuto la fedeltà dell’alleanza di Dio nel Signore Gesù. Invecchiando il carattere di Vladimiro si è vieppiù armonizzato: lo humor sottile, sempre nelle righe; le risposte argute, a tono, senza derive di irascibilità. Mi piace ricordare p. Vladimiro per il suo spirito un po’ sbarazzino, da bimbo birichino che però rimane composto, ordinato, come è proprio di un adulto. Direi così: si vede che la Presenza di Gesù gli ha salvato la vita, nel senso che gli ha impedito di intristire e di fallire nella realizzazione della comune vocazione all’umanità. Sulle sue labbra si sentiva di tanto in tanto: grazie, permesso, scusa… Tornando dall’ospedale la notte del decesso ha raccontato le ultime barzellette.

Così, di questo nostro fratello non mi colpiscono tanto i talenti di cui era dotato – la memoria, la capacità logico-deduttiva, la mano dell’artista… talenti che ha trafficato in diversi campi: nell’iconografia e nell’arte, nella letteratura e nella storia –, quanto piuttosto la fede rocciosa in un corpo fragile. Anche nella sofferenza Vladimiro confidava in Dio, tanto da cercare di agire sempre nella direzione del Suo amore. Per spiegarmi, faccio un riferimento a quello che mi pare sia stato uno dei fondamenti del suo agire: il principio della riconciliazione. Egli si confessava con regolarità, frequentemente: credo sia stato il modo per radicarsi sempre più in quella riconciliazione di cui Dio ci ha fatto dono, in Cristo; ha chiesto tante volte perdono ai fratelli per le mancanze, reali o presunte, soprattutto negli ultimi tempi: credo che fosse il modo per fare ulteriore spazio alla grazia; non conservava rancori, era capace di interagire con tutti in modo cordiale: credo che fosse l’espressione della grazia, che sussurra, nelle piccole come nelle grandi persecuzioni: “perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

D’altronde, pensando al brano odierno e alla testimonianza di Stefano non ci colpiscono tanto la predizione o la conoscenza dei tormenti, ma la fiducia vissuta da chi li attraversa in compagnia di Gesù, il Figlio di Dio, nato-morto-risorto per noi.

Tramite l’intercessione della Beata Vergine Maria e di san Francesco, che p. Vladimiro ha amato profondamente, chiediamo anche per noi la perseveranza che ci renda testimoni coerenti con la vocazione ricevuta, così da poter dire con la nostra vita: Dio mi ha fatto grazia e anch’io faccio grazia di me a tutti. Grazie p. Vladimiro.


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