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Expo: Mattarella, sia punto di svolta

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Nutrire gli abitanti della Terra, e garantire a tutti il diritto alla vita

Signor presidente, lei ha detto che l’Expo 2015 è «una grande responsabilità» per l’Italia. Ma è anche una sfida, perché pone a noi e al mondo il tema del cibo per tutti gli abitanti del pianeta e, quindi, di uno sviluppo sostenibile. Sono davvero obiettivi perseguibili nel contesto geopolitico di oggi?

«Nutrire gli abitanti della Terra, e dunque garantire a tutti il diritto alla vita, è una questione cruciale, dirimente per il nostro futuro. Non è un tema che riguarda gli “altri”. Siamo in un cambio d’epoca, e ci sono momenti in cui è necessario forzare l’inerzia della realpolitik . Il cuore dell’Expo di Milano sta in questo traguardo di portata storica, che non a caso viene proposto dopo la più grave e lunga crisi economica dal dopoguerra. La crisi ha prodotto ferite sociali, ha inciso sul nostro modo di vivere, ha modificato lo sguardo dei cittadini verso le istituzioni, la politica, il domani. Da questo ciclo, ormai quasi decennale, uscirà un mondo diverso da quello di prima, per equilibri geopolitici e per distribuzione di ricchezze. La grande questione che abbiamo davanti è se i popoli saranno ancora protagonisti del loro destino. Se saremo capaci di legare sviluppo e cooperazione, modernità e cultura, solidarietà e competizione. O, invece, se dovremo sottostare a poteri impersonali e a mercati senza regole».



Lei ha fiducia che l’Italia potrà giocare un ruolo su questo fronte plurale così complesso?

«L’Expo italiana intende dare un contributo culturale, sociale, di innovazione, di ricerca, di impresa, finalizzato a obiettivi di giustizia e di pace. Gli sforzi organizzativi di queste settimane, l’ospitalità che sapremo offrire, i segni della storia e le bellezze del nostro Paese che intendiamo mostrare, sono incardinati in questa grande scommessa. Non ho mai avuto dubbi sulla capacità dell’Italia di ripartire, e i segni di vitalità sono già visibili alla partenza dell’Expo. Resto convinto, però, che il motore della fiducia si alimenti soprattutto con la qualità, con valori autentici, con la visione del futuro, con la solidarietà che interagisce con le dinamiche economiche».



C’è un’aspirazione quasi filosofica, dietro l’Expo: attraverso il cibo, si può pensare a uno sviluppo più sostenibile e meno fondato su una crescita senza limiti, cioè sulla «teologia del Pil»? Si può immaginare un futuro con equilibri meno asimmetrici, con minori disuguaglianze e instabilità geopolitiche?

«Il mito della crescita illimitata era già finito prima della grande crisi. L’ambiente non tollera un consumo di risorse superiore alla loro capacità di rigenerazione. Peraltro, il primato acquisito dalla finanza sull’economia reale sta producendo divaricazioni insopportabili tra ricchi e poveri, tra inclusi ed esclusi. Dobbiamo correggere i nostri modelli, e includere nuovi parametri di qualità nello sviluppo. Questo è un confronto da aprire anche con i Paesi e i continenti emergenti. Non si tratta di accettare una decrescita, e di renderla meno infelice. Purtroppo, come abbiamo visto sulla nostra pelle, la decrescita ha provocato lacerazioni, e indebolito la stessa capacità di lavoro. La sfida è innovare produzione e prodotti in modo da migliorare la vita di tutti, di custodire l’ambiente per i nostri figli, di sviluppare anche sui mercati una competizione sulla qualità».



Se capisco bene, il confronto di cui lei parla presuppone un impegno dell’Ue, no?

«Sì, proprio l’Europa può svolgere un ruolo decisivo. Ha il più grande mercato interno, ha un grado di coesione sociale che, nonostante gli effetti negativi della crisi, resta tra i più elevati del mondo, ha capacità tecnologiche e di conoscenza, ha manodopera professionalizzata. Deve essere più consapevole della sua funzione politica nel mondo. E, a questo scopo, occorre anzitutto rafforzare l’Unione, riducendone gli squilibri interni. L’Europa può preservare, innovando, il proprio modello sociale solo se avrà la forza di incidere sui caratteri della globalizzazione, in chiave di eco-sostenibilità ma anche di distribuzione più equa delle risorse. Il Pil che misura il benessere non può limitarsi al solo dato monetario, ma deve comprendere il valore dei diritti, della cultura, della coesione e sicurezza sociale. D’altra parte, è ormai riconosciuto anche dai maggiori economisti che l’aumento delle diseguaglianze, oltre ad impoverire un Paese, ne riduce le potenzialità. Il cibo per tutti - per tornare al tema proprio dell’Expo - non è solo un proposito di giustizia e di umanità. È anche un obiettivo economico, che può produrre interscambio e crescita».



Il tema «nutrire il pianeta, energia per la vita» è declinato sull’idea di «diritto al cibo», con multiple implicazioni. A chi visiterà la rassegna sarà sottoposta la Carta di Milano, attraverso la quale si chiederà un impegno per il nuovo millennio su lotta a fame e sprechi, tutela dell’ambiente, interventi sul clima, ecc.

«La Carta di Milano è un documento importante, di grande valore etico e politico. Non esprime un generico irenismo. Indica obiettivi concreti, esprime giudizi forti, lancia proposte ai governi e agli organismi internazionali, delinea impegni per gli stessi cittadini e per la società civile. Speriamo che la firmino in molti. E che dal nostro Expo parta un messaggio alle Nazioni Unite e agli altri Paesi. È inaccettabile - sottolinea la Carta di Milano - che più di due miliardi di persone siano malnutrite, mentre altri due miliardi sono obese o in sovrappeso. È inaccettabile che 1,3 miliardi di tonnellate di cibo prodotto vengano sprecati. L’obiettivo di nutrire il mondo intero, con equità e con un modello compatibile con la sopravvivenza delle generazioni future, è possibile. La politica deve costruire le condizioni per raggiungerlo. E l’Expo può essere l’innesco di un movimento mondiale di opinioni pubbliche e di Stati. Sono convinto che questo sia anche il modo migliore per esportare pace e democrazia. Chi pensa di farlo con le armi, dovrebbe riflettere sui guasti provocati, comprese le migrazioni epocali che la fame, le guerre, la povertà assoluta, l’odio stanno producendo».



Che cosa pensa delle proposte d’inserire il «diritto al cibo» nelle Carte dei diritti dei vari fori internazionali, ad esempio l’Onu?

«Sono d’accordo. Il diritto al cibo e all’acqua rappresenta una nuova frontiera dell’umanità. Credo che non sarà un percorso agevole affermare e condividere questo principio. Ma dobbiamo essere capaci di alzare lo sguardo. Altrimenti ci mancheranno le forze. In queste settimane, ciò che sta accadendo nel Mediterraneo è spaventoso. Interroga in profondità le nostre coscienze e mette a nudo miopia ed egoismi che, purtroppo, sono presenti nella nostra Europa. L’Italia non si sottrarrà alle sue responsabilità: colpire i trafficanti di uomini, soccorrere chi chiede aiuto, integrare il più possibile la nostra azione con quella dell’Unione e con gli organismi internazionali. Deve però essere chiaro a tutti che solo con politiche di lungo respiro, con una cooperazione che punti a migliorare le condizioni concrete di popolazioni oggi allo stremo, con un diverso modello di sviluppo potremo aggredire i fattori strutturali di queste migrazioni che rischiano di diventare imponenti e ingovernabili. L’Expo può diventare una parola autorevole pronunciata davanti al mondo sul modo più solidale con il quale l’Europa deve confrontarsi, costruttivamente, con l’Africa e con il mondo arabo».



Ritiene che un successo dell’Expo basti a sanarne l’immagine, sporcata da inquinamenti e corruzioni certificati dalla magistratura?

«La corruzione è un’infezione che può distruggere il corpo di una società. Dobbiamo tenere alta la vigilanza, perché la crisi, le disuguaglianze, la delusione indeboliscono gli anticorpi. Nella fase di costruzione dei padiglioni dell’Expo, la magistratura ha rilevato episodi gravi e avviato indagini che ora attendono il giudizio conclusivo. L’azione inquinante è stata contrastata, e le istituzioni hanno stabilito nuove procedure e nuovi controlli. Conosco l’impegno di coloro che cercano di assicurare il pieno rispetto della legalità negli appalti e nello svolgimento dei lavori, e mi auguro davvero che, alla fine, potremo guardare all’Expo come un punto di svolta nella gestione dei maggiori eventi nazionali. In ogni caso, l’impegno per la legalità deve essere una priorità per le amministrazioni pubbliche, a tutti i livelli. In gioco c’è la nostra credibilità, e anche la coesione del Paese. Più legalità vuol dire più ricchezza e più opportunità per tutti. Se la legalità viene invece violata, la vita economica viene indebolita e lo stesso tessuto democratico deperisce».



Non le pare che lo stesso modo di fare impresa, ancora «costoso» sotto il profilo energetico e alienante per i lavoratori, dovrebbe imporre - anche attraverso Expo - elaborazioni culturali più coerenti con la sensibilità collettiva sull’uso delle tecnologie avanzate? Non dovrebbe innescare la «discontinuità» da lei sollecitata, per migliorare la vita di tutti?

«Qualità e innovazione non sono, certo, obiettivi settoriali. Non riguardano solo le imprese, o solo le politiche pubbliche. Tutti sono chiamati a impegnarvisi: gli imprenditori, le formazioni sociali intermedie, la pubblica amministrazione, i governi ai vari livelli, le rappresentanze politiche e sindacali. La diffusione delle tecnologie, gli investimenti sulla ricerca, il potenziamento di infrastrutture e reti, le nuove applicazioni su scala industriale sono elementi decisivi della modernità di un sistema, e hanno riflessi importanti sul lavoro, oltre che sulla cultura e sui legami generazionali. Dobbiamo avere coraggio. Se il pensiero critico è l’antidoto al conformismo e alla passività, il coraggio è l’antidoto al pragmatismo furbo ma senza idee. Quando ho parlato di discontinuità, ho legato questa parola proprio al coraggio. Discontinuità è invenzione, progettazione ex novo, ricerca oltre i confini del conosciuto. C’è una storia italiana plurisecolare alle nostre spalle: tocca a noi rinverdirla. Per fortuna, non partiamo da zero. La qualità italiana è già una realtà apprezzata nel mondo, come dimostrano i dati incoraggianti dell’export e l’interesse per il made in Italy. È qualità architettonica, dei prodotti, dell’ambiente urbano, del paesaggio, del gusto, dello stile. L’Expo ci aiuterà a far conoscere di più le nostre eccellenze, e anche a confrontarci e migliorare ancora. L’impresa, e dunque la sua capacità di innovazione e la sua competitività, sono decisive per il futuro del nostro Paese. Se possibile, il valore sociale dell’impresa è diventato più grande, perché è al tempo stesso espressione e generatore di benessere, di coesione sociale, di opportunità e diritti, primo fra tutti il diritto al lavoro».



A Expo ha uno spazio la Cascina Triulza, un pezzo della Lombardia rurale, la cui gestione è affidata alla società civile. Vi si valorizzerà il Terzo settore. Perché da noi si continua a dare scarso riconoscimento a un volontariato che spesso surroga compiti dello Stato?

La vitalità sociale che, anche in anni di crisi acuta, hanno saputo esprimere il volontariato e il Terzo settore sono un patrimonio inestimabile del nostro Paese. Gratuità, creatività, solidarietà nascono in una dimensione comunitaria, spesso nelle famiglie e nei mondi vitali, ma acquistano subito una valenza pubblica. Noi oggi dobbiamo rafforzare e integrare il valore del pubblico. Per troppo tempo è stata alimentata una contrapposizioni pubblico-privato sulla base di pregiudizi che sempre più spesso la realtà smentiva e superava. E questa rigidità ha causato una svalutazione del pubblico, come se fosse solo fonte di sprechi e non anche garanzia di diritti universali e strumento di benessere dei cittadini. Certo, il pubblico va reso efficiente, trasparente, severo nell’uso delle risorse. Soprattutto l’idea di pubblico non può essere ristretta soltanto all’idea di “statale”: deve essere più ampia, deve tendere a esprimere la comunità, a coordinare gli sforzi per realizzare servizi migliori. Volontariato e Terzo settore non sono supplenza dello Stato. Sono esperienze attraverso le quali si esprimono valori di solidarietà, si rafforzano legami sociali, si assicurano in una pluralità delle forme i diritti universali.



Spesso le infrastrutture delle esposizioni universali si trasformano, una volta chiusi i battenti, in cattedrali nel deserto... Ora, il governo si dice disponibile a entrare nel dopo-Expo, affinché l’area divenga una «cittadella universitaria» e Assolombarda promette impegno per una «cittadella dell’innovazione». Questa possibilità - posto che si realizzi - rientra nella «coesione del sistema» da lei sollecitata proprio per questa occasione?

Non posso che augurarmi che i padiglioni e le infrastrutture costruite in questi mesi restino dopo l’Expo a vantaggio di Milano, della Lombardia e dell’Italia. Vuol dire che per le diverse amministrazioni la sfida continuerà anche oltre le conclusioni dell’Esposizione: sarà importante la tempestività delle decisioni. Non bisogna sprecare il volano di questo evento, anche perché se, come tutti speriamo, resterà un buon ricordo nella memoria dei cittadini, chi raccoglierà l’eredità materiale delle strutture, ne avrà un buon vantaggio. Il bene comune dove tornare ad essere la stella polare del nostro impegno pubblico: il che nulla toglie al confronto e alla dialettica politica. Al contrario, è proprio la percezione del bene comune che può restituire alla politica la fiducia perduta presso molti concittadini. di Marzio Breda - Corriere della Sera

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