francescanesimo

L'importante è chiamarsi Francesco di Elvio Lunghi

Elvio Lunghi
Pubblicato il 28-04-2017

In Italia è giocoforza associarlo al ricordo di Francesco di Assisi, al suo amore per i poveri, il creato, la poesia, la bellezza

"Nomen omen", dicevano i Romani. È una dirittura, una linea d'ombra, un destino. Il nome non lo si sceglie, ci viene imposto, ma una volta preso lo si sposa per sempre, ci si abitua o può diventare anche un peso. Prendete il nome Francesco. Viene dal latino "Franciscus" che discende dall'antico tedesco "Frankisk", o dal francese "Francique", che significa "appartenente ai Franchi", o più semplicemente "Francese". Se lo si lega al nome "Franco" acquisterà il significato di uomo libero, affidabile, concreto, che è già un bellissimo programma. In Italia è giocoforza associarlo al ricordo di Francesco di Assisi, al suo amore per i poveri, il creato, la poesia, la bellezza.

Anche questo è un programma bellissimo, da mandare a memoria, per quanto faticoso da attuare: significa rinuncia alla ricchezza, rinuncia allo spreco, rinuncia alla tristezza, rinuncia al banale. Doveva saperlo bene Francesco Sassetti (1421-1490), nato da una antica famiglia patrizia toscana, socio in affari con la più importante famiglia  di Firenze, i Medici. Ancora giovanissimo sarà inviato oltralpe per curare gl'interessi della famiglia, e vi diventerà uomo di fiducia di Lorenzo il Magnifico, di quasi vent'anni più giovane ma trovatosi per sorte solo al comando della famiglia che darà inizio in Italia alla civiltà del Rinascimento. Lorenzo de' Medici gli affiderà prima la gestione della filiale di Ginevra del Banco Mediceo, poi quella di Lione in Francia, dove Francesco mostrerà le doti di uomo franco e affidabile. Nomen omen.


Tornato in patria, Francesco Sacchetti comincerà a pensare per tempo alla morte, vale a dire progetterà di farsi fare in vita una tomba monumentale, per lasciare di sé il ricordo di uomo pio e devoto, ma anche di uomo ricco e potente, amico di quelli che contavano dentro e fuori le mura di Firenze. Era diventato allora di moda farsi erigere una tomba monumentale, non per presentarsi di fronte al Creatore in atteggiamento umile e supplice, ma per mostrarsi ai posteri con i segni di un affermato prestigio: i ricchi con i soldi, i forti con le armi, i dotti con i libri. Il tutto condito da una trita decorazione che replicava le anticaglie romane, le sole capaci di donare un'aria da umanista a mercanti fiorentini che sapevano parlare soltanto di soldi e d'intrighi.

La famiglia Sassetti aveva da generazioni il patronato sull'altare maggiore della chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, dei frati Predicatori. Le pareti della cappella maggiore presentavano dipinti vecchi di un secolo, rovinati da infiltrazioni di acque piovane. Francesco Sacchetti riuscì a ottenerne il patronato, ma come espresse il desiderio d'illustrare le pareti con episodi della vita del santo da cui prendeva il nome, cioè Francesco di Assisi, incontrò una intransigente opposizione da parte dei frati Domenicani, che non ne vollero sapere di vedere la loro chiesa sotto il segno di un Ordine rivale, i frati Minori.

I contendenti portarono le carte in tribunale, e dopo una lunga battaglia legale finirono per avere ragione i frati. Invece di bussare a una chiesa dei frati Minori, Francesco Sacchetti comprò nel 1480 una cappella nella chiesa di Santa Trinita, dei monaci Vallombrosani. Giuliano da Sangallo vi fece due sarcofagi in pietra di paragone, mentre Domenico Ghirlandaio ultimò nel 1485 la pala con la Natività per l'altare, con ai lati il ritratto di Francesco Sacchetti e quello della moglie Nora Corsi. La decorazione delle pareti fu affidata allo stesso Domenico Ghirlandaio, che era allora il pittore più in vista a Firenze, per affidabilità e per le notevoli doti di ritrattista. Vi dipinse un intero ciclo di storie, rigorosamente ambientate nelle piazze e davanti ai palazzi di Firenze. Gli affreschi rappresentano episodi della vita di san Francesco, ma i veri protagonisti sono Francesco Sacchetti e le sue frequentazioni della corte medicea.

Nell'episodio della conferma della Regola, vi compaiono sulla destra i ritratti di Francesco Sacchetti con il figlio Federigo, accanto a Lorenzo il Magnifico e a Antonio Puzzi, cognato del Sacchetti e Gonfaloniero di Giustizia. In primo piano salgono per una scala Agnolo Poliziano con i figli di Lorenzo: Giuliano, Piero il fatuo e Giovanni, seguiti da Luigi Pulci e Matteo Franco. Tanti selfie scattati accanto a ritratti che sembrano veri possono venire a noia. di persone Il solo episodio che non richiama un angolo di Toscana è la predica di Francesco fronte al sultano in Egitto, con la sfida della prova del fuoco verso i consiglieri del sultano. Insieme a Francesco vi compaiono due frati, il sultano sul fondo, pochi musulmani vestiti in abiti occidentali e due civili vestiti da pellegrini. Nessun personaggio ha l'apparenza di un ritratto reale. Come a dire: il solo Francesco può recarsi a testa alta in terra indifelium.

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