Perché a te? Perché a te? Perché a te?
Perché a te? perché a te? perché a te? Francesco è di ritorno dal boschetto presso la Porziuncola, nella piana sotto Assisi;
è lì che suole pregare. E uno dei suoi fratelli più cari, frate Masseo, gli si fa incontro quasi aggressivo, quasi minaccioso:
“Dico perchè a te tutto il mondo viene dirieto, e ogni persona pare che desideri di vederti e d'udirti e d'ubbidirti? Tu non se'
bello uomo nel corpo, tu non se' di grande scienza, tu non se' nobile; donde dunque a te, che tutto il mondo ti venga dietro?”. Questo episodio
è narrato nel X capitolo dei Fioretti: un testo diffi cile, tendenzioso e di solito malinteso. È diffusa l'idea che si tratti d'una
lieve, quasi fanciullesca raccolta di episodi edifi canti sulla vita del Poverello d'Assisi.
È la raccolta di “leggende” care e familiari a tutti noi, fi n da bambini: le dolci tortorelle, le gaie rondini, il feroce lupo
di Gubbio convertito alla mansuetudine. In realtà, si tratta di pagine sempre impegnate e schierate. E come tali refrattarie
a venir interpretate se non al rigoroso interno del loro contesto storico. Eppure, quella pagina, quel grido angoscioso
che a noi sembra un misto di disappunto e d'invidia, hanno qualcosa di anacronistico, tanto ci sono vicine. Sono di una
sconcertante contemporaneità. Nel mondo dell'avere e dell'apparire, nella società dell'effi mero e dello spettacolo, nessuna
domanda sarebbe più appropriata se rivolta a qualcuno che effonde attorno a sé un càrisma speciale e che riscuote uno
straordinario successo. Uno che diventa dunque un modello: un oggetto d'emulazione ma anche d'invidia e quasi di
astio, di rancore. Perché a te, perché tutto i mondo ti viene dietro, e tu affermi addirittura di non curartene, di non averlo né
cercato né voluto? 0tto secoli dopo, l'angosciosa domanda di frate Masseo continua a risonarci dentro. Perché a te, Francesco
d'Assisi? Mai forse nella storia della Chiesa, del cristianesimo e delle religioni – o forse nella storia tout court – nessuno
è mai stato tanto lodato, tanto ammirato, tanto rivendicato da tutti. Un Santo per tutti i gusti e per tutte le stagioni: hanno
voluto presentarci volta per volta un Francesco protestante, uno socialista, uno fascista, uno “figlio dei fiori”; e ora si vanno
aggiungendo alla lista un Francesco musulmano, uno buddista, uno ecologista, uno no-global, uno new age. Ma diciamo
la verità: non andar bene a nessuno, è una bella condanna; andar troppo bene a tutti però è forse peggio ancora. Anche
perché nessuno come Francesco e nulla come il suo messaggio appaiono – appunto al giorno d'oggi – fraintesi, distorti,
dimenticati, cancellati. Francesco, in apparenza ammirato e lodato, superstar, continua ad esser nella vera e profonda sostanza
come lo ha ritratto Dante, “dispetto a meraviglia”: straordinariamente disprezzato da tutti. Un disprezzo implicito: magari
perfi no inconscio. Che parte comunque da una profonda, irremissibile incomprensione. Perché è, perché resta un enigma.
Chiediamoglielo di nuovo dunque, anche noi come frate Masseo: perché a te, Giovanni di Pietro Bernardone detto
Francesco? Tu non hai proprio un bel nulla che sia in; tu sei solo e sempre out per i nostri tempi, per la nostra Modernità,
per il nostro Occidente. L'una e l'altro, in realtà, idolatrano esattamente quel che tu hai rifi utato: il potere, la ricchezza, il
possesso, il guadagno, la gloria dell'Io al posto di quella di Dio. Forse non idolatrano poi tanto la scientia, quae infl at: ma ne godono i risultati, sotto forma di realizzazioni tecnologiche, e ne ostentano la vanagloria che deriva dal preteso possesso
della sua conoscenza, la visibilità che le tiene dietro. Non c'è in realtà nulla che si possa immaginare come più radicalmente
antifrancescano del tempo presente: e allora, perché esso continua a risonar del nome del povero d'Assisi? C'è chi
ne ha elogiati l'originalità e l'anticonformismo: anch'esse doti che nel mondo d'oggi vengono tanto lodate quanto poco
perseguite. Si è ridotto anche lui, perfino lui, a un'icona convenzionale, appiattita sulle riduttive misure della ribellione
antigerarchica o sociale. Ma ci vuol altro.
Pensate alla forza del Francesco che predica nudo nella sua città natale. O che minaccia i suoi frati che non filan dritto
di farli picchiare da un nerboruto confratello. O che in punto di morte, invece di pregare, pensa a mangiar dei dolci. Un
Francesco che si sente tanto attratto dalle donne da doversi buttar d'inverno nella neve e rotolarvisi per calmare i morsi
della carne. Un Francesco che parla col sultano e non tenta di convertirlo, si limita a testimoniare il Cristo e accetta lietamente
dalle mani del “nemico della croce” il dono mondanissimo di un corno da caccia. Ma chi è mai questo Francesco?
E come possono, lui e l'Occidente moderno, intendersi? Sul piano storico del suo tempo, il Poverello d'Assisi fu uno
sconfi tto. La sua proposta cristiana era fondata sulla rinunzia a qualunque forma di potere. Ma i tempi che gli vennero
dopo furono quelli dell'affermazione della volontà di potenza dell'Europa cristiana: una strada del tutto opposta a quella
del farsi simile al Cristo povero e nudo. Il punto è quindi chiedersi se il Cristo-modello è, in quanto tale, valido ancora
all'alba del III millennio, e come lo si può seguire e imitare. Si sarebbe tentati di privilegiare l'amore per il prossimo come
nuovo territorio per una sequela Christi dei nostri giorni: ma è suffi ciente? Francesco viveva in un mondo barbarico forse,
ma ripieno di Dio: un mondo nel quale tutto si consacrava. Che cosa può dirci il suo esempio nel nostro mondo, quello
di adesso, segnato dalla desacralizzazione? Francesco rinunziava a sé stesso: che cosa può indicarci il suo esempio in un
mondo fatto di “individui assoluti” sempre più angosciati per esser tali ma sempre meno disposti a cessar di esserlo? Francesco
lodava il Signore “per sora nostra morte corporale”: ma il nostro mondo è perpetuamente assediato e angosciato dall'idea
della fine fisica come Fine di Tutto; ed è questa la base della sua cupa e feroce disperazione travestita da felice godimento
della vita e da universale desiderio individuale di restar per sempre giovani, sani, belli, ricchi.
Francesco d'Assisi resta uno scandalo, un paradosso, una sfida. Ridurlo a un santino devozionale è grave. Farne un rivoluzionario
ridicolo è più grave ancora. Nella società dell'avere, del potere, del produrre e del consumare, la sua testimonianza
tutta dalla parte dell'essere risulta radicalmente inattuale ed equivoca dunque l'ammirazione di cui lo si circonda.
Francesco non ha mai predicato la povertà coatta e universale. La sua era solo una proposta indirizzata a chiunque volesse
liberamente accettarla e solo a lui.
di Franco Cardini
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