25

San Francesco fratello universale

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



Permettetemi, mentre mi avvio alla conclusione, di fare alcune brevi considerazioni su San Francesco. Egli è stato il primo che ha vissuto, o meglio che ha creato, ante litteram, lo “spirito di Assisi”. Giovanni Paolo II ha potuto trasformare Assisi in una “cattedra” di fraternità e di pace, accolta da tutte le religioni, per la testimonianza universale di San Francesco. Il giovane assisiate è, in certo modo, all'origine dello spirito di Assisi perché lo ha vissuto nella sua stessa vita ascoltando il Vangelo e mettendolo in pratica alla lettera. Vivere lo spirito di Assisi non significa un embrassons nous generale, ma essere uomini e donne evangeliche che sanno vivere nella complessità del mondo di oggi. Anche per Francesco vivere secondo la forma evangelica non fu semplice, senza fatica, senza disciplina, senza lavoro su di sé, senza rinuncia, senza tagli, senza correzioni, senza riflessione, senza preghiera. Francesco dovette fare violenza a se stesso e cambiare vita radicalmente per vivere la forma di vita evangelica. Solo la somiglianza a Cristo sino alle stigmate lo rese “missionario” in un mondo che stava in rapido mutamento e che vedeva la Chiesa ancora muta nella predicazione del Vangelo. Lo sapete bene che l'Umbria in cui visse Francesco era una terra di grandi lotte fra città e tra fazioni all'interno stesse delle città (alla guerra di Assisi contro Perugia vi partecipò direttamente). Ma il giovane assisiate sentì il disgusto di quella vita. Scrive il Celano: “niente gli dava più alcun diletto”(1 Celano 17). Francesco ascoltò il Vangelo e volle metterlo in pratica alla lettera, senza aggiunte. Diede tutto quel che aveva ai poveri e restituì al padre quel che gli era rimasto. Per sé scelse di stare accanto ai poveri, anzi di vivere come loro. “Il povero Francesco, padre di poveri, voleva vivere in tutto come un povero; non poteva sopportare senza dolore di vedere qualcuno più povero di lui” (1 Celano 76), nota il Celano. Francesco uscì dal suo mondo, che divideva i ricchi dai poveri, i sani dai lebbrosi, i cittadini dagli esclusi (i minores), per divenire povero ed essere fratello universale degli uomini e delle cose, degli animali e del creato, degli amici e dei nemici. Francesco, appunto, fratello minore, ossia universale. Aveva intuito una verità profondamente evangelica: l'universalità parte sempre dai poveri, dagli ultimi. Questa fraternità a partire dagli ultimi è la pace che Francesco vive per sé e che propone ai suoi frati. Ed è la radice di quel che oggi chiamiamo lo “spirito di Assisi”; senza di lui questo spirito è incomprensibile e improponibile.

Pace e fraternità universale per Francesco coincidono. Ed è esattamente questo il tesoro dello “spirito di Assisi”. E lui lo viveva a partire dai suoi. Diceva: “i frati non abbiano alcun potere o dominio, soprattutto fra loro…e chi tra loro vorrà essere maggiore sia il loro ministro e servo” (Regola non bollata, V, 22). Colui che assume una funzione di coordinamento deve comportarsi come una madre; deve rivoluzionare il rapporto dei sudditi nei confronti dei ministri; e i sudditi possono parlare “come i padroni ai loro servi, perché così deve essere, che i ministri siano servi di tutti i fratelli”(Ammonizioni, 4). Tratta i suoi frati come cavalieri della Tavola Rotonda, per significare plasticamente l'uguaglianza con tutti. Di fronte ai fallimenti il rimedio - dice Francesco - sta nello spirito di fraternità: “si guardino dal turbarsi e dall'adirarsi per il peccato o il male di un altro”, “ lo ammoniscano, e lo istruiscano e lo correggano con umiltà e diligenza”, trattandolo come gli sembrerà meglio secondo Iddio”(Regola non bollata V). Questa fraternità è per sua natura universale, ossia aperta a tutti senza esclusione alcuna. Andando per il mondo i frati devono comportarsi in maniera evangelica, vivendo poveramente, mangiando ciò che è stato messo loro davanti, rinunciando a qualsiasi forma di violenza, e dando a chi chiede.

E' dallo spirito evangelico che si può comprendere la sua scelta di andare dal sultano a Damietta, senza spada e forte solo della sua parola. Lo sapete bene che la crociata era persino predicata dal Papa e Francesco inizialmente ne subì il fascino. Non si deve inoltre dimenticare che la tensione con il mondo musulmano era forte almeno come oggi, se non di più. La crociata era tesa allo sterminio più che alla difesa. Il Vangelo ispirò a Francesco un'altra strada, più forte della forza della spada. Non fu capito. Ma Francesco non si fermò. E non è che la nuova via gli impedisse la missione di comunicare il Vangelo, tutt'altro. Ne è testimonianza il lungo capitolo XVI della Regola non Bollata ove Francesco detta, primo tra i cristiani, alcune regole di comportamento missionario. E sapeva bene cosa comportava tale missione per i suoi frati. Non si fermò infatti alla notizia del martirio di fra Eletto. E benedisse, piangendo, i sei frati che proprio dalla Porziuncola, al termine del Capitolo generale del 1219, partirono per il Marocco. Erano tutti di questa nostra terra, nostri diocesani. Alla notizia del loro martirio disse: “Ora posso dire con verità di avere cinque frati minori”. Ho voluto dare una dignità nuova alla vicenda di questi cinque protomartiri francescani, tutti di origine ternana, in una nuova chiesa di Terni dedicata a Santa Maria della Pace.

Ma la missione tra i saraceni e gli altri infedeli (ire ad saracenos et alias infideles) non aveva per Francesco il significato di espandere il sistema ecclesiastico, bensì quello di proporre e di vivere il Vangelo universale della fraternità. Scrive che “non facciano liti e dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore del Signore e dichiarandosi cristiani”. Soltanto in seguito, “quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio”(Ivi). Non mi dilungo su questo tema; ma sono sempre rimasto suggestionato dalle considerazioni di Basetti Sani sul rapporto tra la visione della Verna e la missione ai musulmani. Certo è che per Francesco la missione, qualunque missione, parte dall'amore per ogni uomo e ogni donna perché tutti sono stati riscattati dalla croce del Signore. Questa fraternità non sarebbe piena se non si dirigesse anche verso tutte le creature. Il rapporto di Francesco con la natura, con il fuoco, con gli uccelli, con gli animali, non è un rapporto di possesso ma di convivenza e di fraternità. Tutto ciò non nasce da una sorta di romanticismo. Si radica in una povertà vissuta come forma di vita e atteggiamento di rispetto e di devozione nei confronti dell'intera creazione. Per Francesco, la povertà che viene dal Vangelo sfocia in una immensa libertà e nel godimento disinteressato di tutte le cose. E questa è la pace.

Come si può intuire non stiamo davanti ad una questione etica, ma ad un atteggiamento profondamente evangelico. Non si tratta semplicemente dell'assenza dei conflitti, ma dell'instaurazione della fraternità evangelica. Questo spiega gli incontri di Francesco per pacificare le persone e i popoli, chiedendo a tutti la forza di perdonare. Scrive il santo: “Non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto più poteva peccare, che dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne ritorni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato”(Lettera a un ministro, 8 -9). Francesco, uomo pacificato, divenne pacificatore. E questo significò, anzitutto, una lotta interiore per sconfiggere quell'egocentrismo che attanaglia ciascuno di noi. Commentando la beatitudine evangelica dei pacifici, non a caso Francesco la collega a quella dei perseguitati: “Sono veri pacifici quelli che di tutte le cose che sopportano in questo mondo, per amore del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell'anima e nel corpo” (Am 15:164). Conservare la pace nell'anima e nel corpo di fronte alle sofferenze del mondo è la vera forza per sconfiggere ogni tristezza. Ma questa forza richiede anche la capacità di perdonare. Nel Cantico, composto per spronare il vescovo di Assisi e il podestà a fare la pace, Francesco scrive: “Laudato si, mi Signore, per quelli che perdonano/ per lo tuo amore/ e sostengono infirmitate e tribulazione./ Beati quelli che ‘l sosterranno in pace,/ ca da te, Altissimo, sirano incoronati” (Cant 263). Francesco chiede al vescovo e al podestà non di concludere un accordo, quanto di ritrovare le energie spirituali che permettono di superare le sofferenze, e quindi di perdonare, di dominare la collera, di evitare il turbamento e di dimorare nella pace.
Francesco non scelse la politica ma non si estraniò dalla città. Anzi, entrò nelle pieghe più tragiche della vita umana per curarle ricomponendo liti e contrasti. In una società ruvida e bellicosa nei rapporti sociali, egli insegnò il valore della "cortesia" nel rapportarsi con tutti e tutto. La sua esperienza fu unica nella sua capacità di incontrare e riconciliare persone diverse tra loro. L'essere penitenti, tipica modalità del medioevo di vivere il Vangelo, ha assunto in lui una forza spirituale del tutto originale. Mentre essere cristiani significava ripudiare il mondo mediante il disprezzo di sé, per Francesco invece significò essere misericordioso con tutti. L'inizio della sua esperienza, infatti, era stare con i lebbrosi usando misericordia con loro come Dio l'aveva usata con lui. Ed è non poco significativa per il suo aspetto “rivoluzionario” l'affermazione che fece dopo il bacio del lebbroso: “Ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo”(110). Il Vangelo vissuto alla lettera gli aveva persino cambiato il gusto della vita. Ebbene, Francesco ha avuto un gusto nuovo, pieno di dolcezza e di tenerezza, di forza e di passione, nell'incontrare gli uomini e il creato. Questo nuovo gusto è la pace.

Sì, questa è la pace per Francesco: non una cosa da fare, ma un modo di essere e di vivere tra gli uomini. Solo se si è uomini pacifici si può essere pacificatori. Un santo monaco russo del Novecento, Serafino di Sarof, in piena sintonia con questo spirito, diceva: “Vivi in te la pace e a migliaia accorreranno a te”. La pace per Francesco è un modo di essere credenti e di obbedire al Vangelo. Ai suoi frati diceva: “La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più nei vostri cuori. Non provocate nessuno all'ira o allo scandalo, ma tutti siano attirati alla pace, alla bontà, alla concordia dalla vostra mitezza. Questa è la nostra vocazione: curare le ferite, fasciare le fratture, richiamare gli smarriti” (3 Comp 58: 1469). Lo spirito di Assisi parte da un cuore trasformato dal Vangelo. E Francesco ne è l'esempio più evidente.

Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.

Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA