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Lo 'spirito di Assisi'èdi Corrado Passera, Ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



Nelle parole di San Francesco la pace assume un significato speciale: “O Signore, fa' di me uno strumento della Tua Pace. Dove è odio, io porti Amore, dove è discordia, io porti Unione, dove è disperazione, io porti Speranza”. La pacecome disegno, come progettoma anche la pace intesa comefinea cui tenderenon meno che come strumento per raggiungerlo, un valore comportamentale da inverare qui sulla terra, hic et nunc, una risposta, al contempo pia e laica, contro il nichilismo, una precisa responsabilità sempre attuale e bruciante per tutti e per ciascuno.Neldiscorso della montagna Gesù dice:“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.

La ricerca della pace detta condizioni precise in un mondo sempre più interconnesso: tolleranza e fiducia nell'altro, almeno equità se non uguaglianza nelle opportunità, condivisione di valori comuni, capacità di convivenza anche nella diversità, garanzia di libertà nel rispetto delle regole. Per questo parlare di pace significa interrogare parimenti la politica, la società, la religione e l'economia. La pace ha dunque la concreta possibilità di diventare non una semplice aspirazione ideale, individuale ma astratta, ma piuttosto una progettualità concreta, capace diabbracciare la collettività, di indicarle un percorso tramite il quale affrontare le innumerevoli sfideche il tempo presente ci propone,hic et nunc.

Venendo a temi a me più vicini, mi sembra importante ricordare quanto la crescente integrazione globale dei mercati cui abbiamo assistito negli ultimi decenniabbia rappresentato un potente strumento di pace. Lo “spirito del commercio che non può esistere assieme alla guerra” si è dimostrato, come immaginato da Kant, un formidabile “operatore di pace”.

Tuttavia oggi viviamo una fase molto delicata perl'equilibrio economico globale. La bassa crescita economica, la disoccupazione e la sotto-occupazione in espansione sono soloi più urgenti tra i tantisnodi critici da affrontare. Gli strumenti tradizionali della politica economica stanno incontrando crescenti difficoltà a ricondurre le economie avanzate su un sentiero di sviluppo sostenibile; gli stati sovrani si trovano indeboliti e con spazi di manovra ristretti, il sistema finanziario internazionale è sotto pressione nell'intermediare i flussi che sostengonogliampi squilibri macroeconomici fra le diverse aree del mondo;lo stesso sistema di conoscenze economiche che ha informato eguidato le nostre azioni si è dimostrato in più occasioni inadeguato a leggere e a interpretare la realtà evolutiva delle economie e dei mercati, se non addiritturamistificatorio nei suoi assunti fondamentali, considerati alla stregua di dogmi incontrovertibili.

Eppuremai è stata messa in discussione la necessità di trovare soluzioni coordinate a livello internazionale, all'interno dell'irrinunciabile cornice economica della globalizzazione: gli interventi coordinati di politica economica e monetaria dei Paesi del G20, così come lo sforzo internazionale di costruzione di una nuova architettura regolamentare ne sono gli esempi più evidenti. E' una fondamentale garanzia di pace continuare su questa strada ed evitare ad ogni costo che qualunque tentazione volta al passato, sia essa di tipo mercantilista che protezionista, riesca a prevalere, perché apporterebbe al sistema gravissime forme di perturbazione, dagli effetti potenzialmente destabilizzanti.

Non posso tuttavia non ricordare quanto il modello economico di sviluppo globale sia stato profondamente scosso dalla crisi del 2007-2008. I motori della crescita che alimentavano quel modello di sviluppo si sono dimostrati azionati da un meccanismo non sostenibile. Non sostenibile dal punto di vista finanziario,perché fondato su livelli di indebitamento – sia pubblico, che privato –troppo elevati. Non sostenibile dal punto di vista sociale,in quanto basato su elementi di competitività con un insufficiente rispetto della compatibilità ambientale nell'uso delle risorse epoco attenti alla tenuta complessiva della società, alla capacità di creare ricchezza diffusa edistribuita con sufficiente equità.Non sostenibile, ancora,negli assetti di governance aziendale,sempre più schiacciate sull'esclusiva ricerca del profitto di breve, se non brevissimo, periodo e su strategie di crescita e di diversificazione talmente complesse da diventare rischiose.Non sostenibile, infine, perché schiavo – e non padrone - di un mercato lasciato a se stesso, alle sue presupposte e – lo abbiamo avvertito tutti – infondate capacità taumaturgiche, considerato sempre in grado di trovare un equilibrio e una forma di autoregolamentazione.

Per troppo tempo un atteggiamento ideologico ci ha fatto ragionare in modo manicheo, per contrapposizioni e mutue esclusioni: stato vs. mercato, pubblico vs. privato, società vs. individuo, diritto vs. economia, morale vs. profitto, coscienza vs. interesse. E che queste antinomie rappresentassero anche il campo dove esercitare giudizi di valore fra tifoserie contrapposte, in cui quasi necessariamente era esclusa ogni possibilità di contaminazione, di sinergia, di rafforzamento reciproco. Ha prevalso la logica della contrapposizione piuttosto che quella dell'inclusione.

Quello che serve hic et nuncè una nuova stagione di collaborazione e cooperazione tra tutti i soggetti protagonisti della vita politica, economica, sociale, religiosa e culturale.Le nuove parole chiave dello sviluppo devono tornare ad essere concetti quali “alleanza”, “comunità”, “bene comune”, “valore condiviso” da tradurre in una vera “economia di pace”.

In un'economia di pace non c'è conflitto fra la competitività e la coesione sociale, ma una interrelazione che porta al mutuo rafforzamento di entrambe e alimenta su basi sostenibili la crescita, in cui non ci sia divergenza ma collaborazione fra pubblico e privato, fra mondo del profit e del no profit, fra mondo laico e mondo religioso, fra la ricerca del profitto e la responsabilità sociale volta alla creazione di valore condiviso per tutti gli stakeholders, in cui non ci sia separazione fra mercato e regole, fra orizzonte di breve e di lungo periodo, fra rispetto dell'individuo e ricerca del bene comune.

La crisi ci consegna un futuro incerto, ma la cui costruzione è ora più che mai nelle nostre mani. Sta a noi riempire la costruzione del nostro futuro con contenuti solidi, sostenibili, umani.Occorre lavorare per una globalizzazione che acquisti un po' di “sobrietà francescana”, che non sia più “drogata” dagli eccessi, mai più schiacciata su orizzonti angusti, di corto respiro, mai più svincolata dai bisogni reali delle persone e della società, mai più appannaggio dell'interesse dei singoli individui a discapito del bene della collettività. La posta in gioco è la crescita sostenibile, la tenuta delle nostre società e dei nostri assetti democratici, in ultima istanza:la pace.

Una vera “economia di pace” in un mondo sempre più interconnesso deve, infine, saper tutelare la varietà e le differenze. In sintonia con lo spirito più profondo di Assisi, dobbiamo invocare una economia che sia realmente costruita dalle persone e per le persone, che sia compatibile con l'ambiente, che torni ad essere un luogo di pratica dell'incontro, di rispetto delle regole, di esercizio di democrazia e di valorizzazione delle culture e delle differenze.

Un grande stimolo ci viene dalla lettura dellaCaritas in veritate con il suo richiamo a lavorare per uno sviluppo integrale, col suo messaggio cattolico rivolto ai cattolici ma che veicola un messaggio universale rivolto a tutti gli uomini di buona volontà. Il Santo Padre ci ricorda il giusto ordine delle cose, ci ricorda che il mercato, il profitto, la crescita economica non sono fini ma strumenti. Ci ricorda che i fini veri sono diversi, più alti: consistono nell'uomo e nella sua dignità, nello sviluppo integrale, nel bene comune come responsabilità di tutti e non monopolio di pochi. La società deve tornare ad essere pienamente “comunità”: deve animarsi e trarre alimento non attraverso la semplice sommatoria di interessi particolari e contrapposti, ma dal risultato della condivisione delle nostre responsabilità.

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