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La preghiera di Assisi

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001



Il 27 ottobre del 1986, per la prima volta nella storia, rappresentanti delle grandi religioni mondiali hanno teso le mani al cielo per invocare la pace per il mondo. Erano cristiani (cattolici, ortodossi, protestanti, anglicani), ebrei, musulmani, buddisti, induisti, shinto, uomini delle religioni tradizionali e altri, venuti ad Assisi su invito di Giovanni Paolo II. Ricordo ancora con vivezza i prodromi di questo incontro. Era il 1985 e il Papa aveva ricevuto il gran muftì della Siria; si trattava della prima visita di un musulmano in Vaticano. Passò qualche mese e, in un incontro privato, il Papa disse più o meno queste parole: “E' necessario fare qualcosa l'anno prossimo per la pace. I politici non riescono a trovare una strada per scongiurare il pericolo nucleare. Si potrebbero chiamare a raccolta tutti i responsabili delle religioni per invocare da Dio quella pace che gli uomini non sanno darsi”. Non passò molto tempo e iniziarono i preparativi per realizzare l'incontro. Man mano andavano avanti i preparativi ci si rese sempre più conto che non era possibile chiamare i capi religiosi a Roma. E la scelta cadde su Assisi. Non c'era altra città che potesse accogliere una manifestazione come quella. E ricordo la commozione, in quel 27 ottobre, di fronte ad un evento che andava oltre, molto oltre, la stessa elaborazione teologica. Da quell'incontro sprigionava una forza spirituale a cui era impossibile resistere. La stessa teologia ne fu provocata.

La giornata fu di sola preghiera; una preghiera fatta gli uni accanto agli altri, non più – come disse il papa - gli uni contro gli altri. E Assisi abbracciò come in un'unità spirituale quelle preghiere che venivano da ogni parte della terra. Si tennero in luoghi diversi della città, ma erano vicine spiritualmente oltre che geograficamente. I 127 rappresentanti delle diverse tradizioni cristiane e delle grandi religioni mondiali vissero un giorno memorabile per esperienza spirituale. E, con loro, tutti quelli che presero parte all'evento. Persino le guerriglie, quel giorno, accolsero l'invito a sospendere le loro azioni di guerra. Non ci fu dibattito teologico. Solo il silenzio religioso segnò quella giornata. Non discorsi, quindi, salvo quello del papa, ma solo una grande comunione di preghiera. Cosa avevano in comune quegli uomini di religione? Il bisogno di invocare dall'Alto quella pace che il mondo non sapeva darsi.

Giovanni Paolo II parlò di Assisi come di un “luogo che la figura serafica di Francesco ha trasformato in Centro di fraternità universale”. Potremmo dire che in certo modo esplicitava il nome di Assisi, traeva cioè dalla memoria ancora viva e forse poco esplorata di Francesco quella dimensione universale che è l'unica via per la pace e la salvezza della convivenza umana. Da quel giorno, in effetti, Assisi travalicava i confini della cristianità per raggiungere quelli estremi del mondo. Non venivano superati solo i confini geografici, ma anche quelli delle religioni, delle civiltà e delle culture. Si riscopriva quella tensione alla fraternità universale che caratterizzò in maniera unica l'opera di san Francesco. Quell'evento rappresentò una svolta nell'atteggiamento del cattolicesimo contemporaneo verso le religioni, ed anche un cambiamento per la visione che le religioni non cristiane avevano del cristianesimo. Da Assisi partiva un unico straordinario messaggio, nonostante la diversità dei credo. Le religioni, nella preghiera, si sono ritrovate l'una accanto all'altra e, dal profondo della loro invocazione e della loro tradizione, è partita un'unica invocazione, un unico messaggio di pace.

Il mondo era ancora in una condizione di guerra fredda e il pericolo nucleare era vivo. Ci si può chiedere: che cosa potevano fare questi uomini di religione? Non era forse una cerimonia in più? E il silenzio che vissero in quel giorno non nascondeva impotenza? Non rischiava di essere un gesto per consolare le persone religiose dell'impotenza di fronte agli scenari del mondo dominati dal bipolarismo? Non fu così. Quella manifestazione manifestava la fiducia nelle energie spirituali e nella straordinaria forza della preghiera. E' questa la prima grande lezione di quella giornata di Assisi o, se volete, la prima grande direttiva che partiva da quell'evento. Era una preghiera senza commistioni sincretistiche, ma rispettosa delle diversità, convinta che dalla fede religiosa si possono sprigionare energie di pace. Giovanni Paolo II vide la possibilità che si liberassero nuove energie di pace, in un tempo bloccato dalla guerra fredda, quando sembrava che solo le due grandi potenze fossero in grado di sciogliere i conflitti o di provocarli, in definitiva di dare la pace o di minacciarla seriamente. Il resto sembrava una sovrastruttura, rispetto alla struttura di fondo che era la realtà di potenza dei due imperi.

Il papa, nel suo discorso conclusivo sulla piazza di San Francesco, sfidando il freddo che colpiva sferzante, disse: "Forse mai come ora nella storia dell'umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace... la preghiera è già in se stessa azione, ma ciò non ci esime dalle azioni al servizio della pace". E proseguiva: "insieme abbiamo riempito i nostri occhi di visioni di pace: esse sprigionano energie per un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace, gesti che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia o generate dalle moderne ideologie. La pace attende i suoi artefici...". Dal colle di Assisi, in un mondo bloccato nella guerra fredda, il papa lanciava un sogno: un sogno di pace, chiedendo che questo sogno fosse ripreso. Lo chiamò “spirito di Assisi”.

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