societa

Senza fraternità non c’è ecologia

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Francesco di Assisi era convinto che i beni e la terra fossero un'eredità comune a tutti gli uomini. In questo senso, non ne ammetteva l'uso riservato solo a pochi: per lui il ricco e il povero avevano la stessa dignità in quanto fratelli dell'unico Padre. Quanto c'è di questa visione nella Laudato si' ? Lo abbiamo chiesto all'arcivescovo José Rodríguez Carballo, già ministro generale dei frati minori e dal 2013 segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica.

Perché il Papa ha scelto Francesco d'Assisi come ispiratore dell'enciclica?
In una enciclica sulla cura della casa comune, il Pontefice non avrebbe potuto ispirarsi a un modello che meglio potesse motivarci. Parlando di ecologia, il poverello è per i cristiani in generale - in particolare per Papa Francesco - e anche per molti che non sono cristiani, non solo il «santo patrono di tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell'ecologia», ma «l'esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità». Di fatto, egli visse in ogni momento una relazione armoniosa con Dio, con gli altri, specialmente con i più poveri, con la natura e con se stesso. Questa relazione è veramente il cuore della ecologia integrale, oggetto della Laudato si' . Nell'attenzione ai più poveri e abbandonati e alla creazione, per scoprire in tutto il Signore, san Francesco si presenta a noi come un vero maestro.

Da che cosa nasceva la sua visione?
Poiché tutto ha origine dal Creatore, tutto per san Francesco era "fratello" e "sorella". E poiché tutto è "sacramento" e immagine dell'«Altissimo, onnipotente, bon Signore», poiché tutto di lui «porta significatione» - come afferma nel Cantico delle creature - tutto era da lui trattato con somma cura e riverenza. E tutto era incorporato nella lode al Signore. Con una vita contrassegnata dall'essenziale, con la libertà di chi vive senza nulla di proprio e con una esistenza aperta alla trascendenza, agli altri e alla creazione, san Francesco ci mette in guardia da un comportamento dominato da un narcisismo sterile e patologico, che ci porta a distruggere la creazione e ignorare il mandato che l'uomo ha ricevuto di averne cura, di custodirla, assisterla e proteggerla. Un mandato che esige un'attenzione particolare a quelli che hanno uguale dignità, i più poveri, gli ultimi, dei quali il Signore ci chiederà conto, come chiese conto a Caino di suo fratello Abele. Come evidenzia il Papa nell'enciclica e in molti suoi discorsi, l'attualità di Caino è, purtroppo, evidente. Oggi, come allora, ci comportiamo come coloro che non accolgono i fratelli, promuovendo la cultura dello scarto. D'altra parte, il nostro rapporto con la terra è quello di chi si sente potente dominatore, consumatore insaziabile o sfruttatore senza scrupoli delle sue risorse; e il nostro rapporto con l'ambiente è quello di chi non ha freni né conosce limiti, senza preoccuparsi della casa comune e di coloro che verranno.

Il «Cantico delle creature» può definirsi una sorta di manifesto del rispetto del creato?
Il Cantico delle creature è un testo poetico sublime, un manifesto pieno di passione, che mostra una nuova visione della creazione, in cui tutto è in relazione. È un canto alla fraternità universale, che pone l'uomo in relazione profonda con il suo Creatore, con l'opera delle sue mani e con gli altri. In questo senso, ci mostra la possibilità di rafforzare i legami sociali e raggiungere pienamente l'armonia con il Creatore e l'armonia tra noi che abitiamo la casa comune, la madre e sorella terra. Frutto di una vita matura e riconciliata - san Francesco lo scrive al termine dei suoi giorni - esso ci ricorda quello che il Papa afferma con forza nell'enciclica: che in ogni discorso sull'ecologia «non si può prescindere dall'umanità»; che «non ci sarà una nuova relazione con la natura senza un essere umano nuovo»; che «non c'è ecologia senza un'adeguata antropologia». In questo consiste l'ecologia integrale, di cui il Cantico delle creature può essere considerato un manifesto o, ancor meglio, un manuale al quale ispirarci per superare «le false dialettiche degli ultimi secoli» e poter così vivere un'ecologia integrale, in cui tutti si dicano fratelli e siano rispettati come tali, e in cui tutti arriviamo a incontrare Dio in tutte le cose, come insegnava san Bonaventura e come il Pontefice ci ricorda.

C'è dunque un legame consequenziale tra il carisma francescano e l'ecologia integrale invocata dall'enciclica?
Io leggo la Laudato sì' con occhi e cuore di francescano. È una lettura che credo appropriata, perché è lo stesso Papa che, a mio parere, la giustifica proponendo Francesco come «esempio bello e motivante» e citandolo all'inizio e alla fine dell'enciclica, come una specie di inclusione letteraria e argomentativa, e con una conoscenza di base degli elementi che caratterizzano il carisma francescano. In questo modo ci si rende conto che questo carisma può aiutare a elaborare e conseguire una ecologia integrale, senza che questo comporti esclusivismo alcuno in relazione con altri carismi. In effetti, il carisma francescano sottolinea il valore della fraternità tra tutti gli esseri umani, per cui tutti sono accolti come doni di Dio, doni di cui aver cura con spirito fraterno e materno, e tutti sono considerati fratelli e sorelle, come figli dello stesso Padre. Esprime un amore preferenziale per i "lebbrosi" di tutti i tempi, nei quali san Francesco abbraccia "Cristo lebbroso" e nei quali si tocca, come direbbe Papa Francesco, "la carne" del Figlio di Dio stesso. Il carisma francescano richiede anche un'attenzione particolarmente cordiale e fraterna verso la creazione di Dio, perché essa «di lui porta significatione». Nello stesso tempo, in quanto forma vivendi del Vangelo, «regola e vita» proposta da Francesco ai suoi seguaci - come recita la Regola bollata - esso suggerisce un paradigma culturale che porta a servirsi della tecnica come di un semplice strumento. E così supera abusi che portano alla degradazione dell'ecologia, come l'«onnipresenza del paradigma tecnocratico», e cerca di «afferrare gli elementi della natura ed insieme quelli dell'esistenza umana».

Con quali conseguenze?
Con la vita in fraternità si propone una concezione dell'uomo come persona in relazione. E si afferma la convinzione che la sua libertà si ammala quando si consegna alla sola soddisfazione dei bisogni immediati, alla violenza e a qualunque espressione di egoismo. Con la proposta di vivere senza nulla di proprio, liberi da ogni attaccamento, dominio e potere, con semplicità ed essenzialità, Francesco ci ricorda che i beni hanno una destinazione comune e che la terra è essenzialmente eredità comune. Così, mentre denuncia un uso dei beni i cui benefici siano a vantaggio soltanto di alcuni pochi, ci rammenta che il ricco e il povero hanno uguale dignità, perché il Signore ha creato entrambi, e ci mette in guardia contro un possibile eccesso antropocentrico che mina «ogni riferimento a qualcosa di comune e ogni tentativo di rafforzare i legami sociali». Con la sua visione "sacramentale" della creazione, il carisma francescano muove a contemplare la bellezza che c'è nel mondo e a rispettarlo come "immagine" del Creatore. Infine, con l'esempio del dialogo con il sultano d'Egitto, Melek el Kamil, nel lontano 1219, il francescanesimo ci invita al dialogo con le altri religioni per progredire insieme nella cura della natura, nella difesa dei poveri, nella costruzione di una rete di rispetto e di fraternità. Noi francescani abbiamo in tutto questo una grande responsabilità, consapevoli che il nostro primo apporto è quello di vivere in coerenza con il nostro carisma.

Cosa possono fare i consacrati per contribuire alla salvaguardia del creato e a un mondo più giusto?
Prima di tutto dobbiamo prendere coscienza che la cura della casa comune è una esigenza per tutti, anche per i consacrati. Che l'inquinamento, i cambiamenti climatici, il problema dell'acqua, la perdita di biodiversità, il deterioramento della qualità della vita umana e il degrado sociale, l'iniquità planetaria sono qualcosa che ci riguarda. Che lavorare per una ecologia integrale non è qualcosa che tocca ad altri, ma che riguarda noi e molto da vicino. Come consacrati possiamo contribuire a una ecologia globale scommettendo su uno stile alternativo di vita, caratterizzato da alcuni elementi: una vita semplice ed essenziale, oltre il consumismo ossessivo e come reazione al paradigma tecno-economico; una vita fraterna in comunità, nella quale tutti si sentano a proprio agio nella casa comune, superando l'autoreferenzialità e l'individualismo imperante che accrescono l'avidità e la distruzione reciproca, e attaccando in radice l'egoismo collettivo; una missione fondata su una concezione della vita consacrata "in uscita", per andare alle periferie esistenziali  e del pensiero, nelle quali si lavora per realizzare la solidarietà che mira al bene comune, al di sopra del bene personale; la giustizia, che parte da una considerazione dei diritti degli altri e non solo dei propri; la pace, che è riconciliazione con la diversità; una gioiosa celebrazione della vita che porta al suo rispetto fin dall'inizio. I consacrati possono dare un grande apporto all'ecologia integrale favorendo un'educazione, ad intra e ad extra , all'alleanza tra l'umanità e l'ambiente, in vista di una vera e propria cittadinanza ecologica. E soprattutto attraverso la "conversione ecologica" che, come propone san Francesco d'Assisi e Papa Francesco ci ricorda, contribuirà a un sano rapporto con la creazione. (Nicola Gori - Osservatore Romano)

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