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Le ragazze fuggite da Boko Haram: 'In Italia siamo rinate grazie al gospel' - IL VIDEO GOSPEL

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Due mesi fa cercavano disperate un imbarco sulle coste libiche per sfuggire alla morsa della povertà e alla vendetta di Boko Haram. Oggi sono le «Dynamite», un coro gospel che in due note fa scattare in piedi e battere le mani ai fedeli nelle chiese della diocesi di Novara. 

Merrit, Sandra, Angela, Fabor, Victory e Sussex sono sei profughe nigeriane che hanno alle spalle storie comuni a tanti migranti: povertà, persecuzioni politiche o religiose, la fuga e il deserto al prezzo di 2.500 dollari, la rotta verso l’Italia. 


Da Lampedusa e Ragusa al campo di Settimo Torinese, sono state «assegnate» a Borgomanero. Le accolgono in una casa famiglia Mario Metti e i volontari di Mamre, associazione che da 15 anni si occupa di donne disagiate e sfruttate.  

Le ragazze non si conoscono, arrivano da zone diverse della Nigeria. Ma quando i volontari le vanno a prendere, in auto iniziano a cantare: «Avevano una voce splendida e cantare per loro è stato anche un modo di recuperare le radici, sono cristiane e cantano motivi religiosi nigeriani: allora abbiamo pensato di farle cantare in chiesa». 

Sussex, che ha 30 anni ed è la «mamma» del gruppo, ha raccolto la scommessa e sono nate le Dynamite. «Noi siamo come la dinamite - racconta la ragazza, che in Nigeria mandava avanti un negozietto al mercato degli alimentari di Jos - vogliamo esprimere la nostra gioia di vivere, e lo facciamo ringraziando Dio di averci dato questa possibilità. Lo facciamo cantando. Siamo vive, stiamo bene, in Nigeria c’era il rischio di morire ogni giorno per mano di Boko Haram».

 

Hanno in repertorio una ventina di canzoni, si sono esibite nelle chiese di Borgomanero, di Orta, all’isola di San Giulio davanti alla suore di clausura, oggi saranno al santuario di Boca. Alla badessa dell’Isola di San Giulio, Anna Maria Canopi, hanno raccontato le loro storie. Sandra ha 19 anni e porta ancora sulle gambe i segni della fuga: «Una donna che si era offerta di darmi un passaggio con la sua jeep fino in Libia, ma nel deserto abbiamo avuto un incidente, lei è morta, io mi sono fratturata la gamba, ci ho camminato sopra per tre settimane per raggiungere il confine». 


C’è chi in Nigeria faceva la disc jockey, come Merrit: «Ormai, con l’arrivo di Boko Haram, era diventato impossibile fare questo lavoro, ma tutto era rischioso. Là mettevo i cd di Rihanna e Bruno Mars, qui mi dedico ai canti religiosi, in Nigeria pensavo alla disco, qui canto la libertà ritrovata». Fabor, 23 anni, nel Sud della Nigeria faceva la parrucchiera: «Non era neppure possibile fare quello, ormai si viveva nella paura. Nel mio Paese c’era un regime incapace di dare sicurezza agli abitanti». 

«Ci siamo lasciate alle spalle la persecuzione di Boko Haram e un paese diventato invivibile. Per questo - dicono Angela e Victory - abbiamo affrontato la sete, la paura, dando i nostri risparmi a chi ci garantiva di arrivare in Europa, abbiamo visto le stragi in Libia e siamo salite su barconi senza mangiare per cinque giorni». 



Non amano parlare del passato: «La nostra vita comincia da qui, da un lavoro in Italia, stiamo imparando la lingua, seguiamo corsi di cucito e di cucina». E intanto cantano «Jesus, more of you», un motivo che non lascia star fermi i fedeli sui banchi. Ormai, sono pronte a cantare ovunque: ci mettono cuore e voce, e l’incanto comincia. (La Stampa)  





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