societa

IL VIAGGIO DI KALIM

Redazione online Ansa - UFFICIO STAMPA MSF
Pubblicato il 23-03-2017

Il racconto di una nostra lettrice su una donna siriana

Kalim era una bella ragazza siriana con neri capelli ricci e gli occhi azzurri come il cielo terso di montagna. Era alta, intelligente, colta, in possesso di una laurea in economia conseguita presso una prestigiosa università tedesca.

Il padre, commerciante di tappeti pregiati, aveva voluto con determinazione che le sue due figlie compissero i loro studi in lingua tedesca e inglese, per metterle all’altezza delle richieste del mondo occidentale, ormai prossimo a travolgere i ritmi e le tradizioni della cultura mediorientale.

Zara e Kalim, molto legate tra di loro, erano cresciute perciò in un ambiente culturalmente aperto, diventando due giovani donne con atteggiamenti, interessi, modi di vivere tipicamente internazionali.


Zara, la sorella di Kalim, era sposata con un giovane ingegnere tedesco conosciuto durante gli studi e viveva da tempo a Francoforte; in questo modo la Germania era diventata il luogo in cui spesso la famiglia di Kalim trascorreva sereni periodi di vacanza, come fosse una seconda patria per tutti. Dopo la sorella, anche Kalim si era felicemente unita in matrimonio con un giovane ingegnere informatico siriano e nessuna di loro, a quel tempo, avrebbe potuto minimamente immaginare quello che sarebbe accaduto nell’arco di pochissimi anni.

Un triste giorno, il marito di Kalim, anche lui, come lei, di fede cristiana, non fece ritorno a casa, catturato da un gruppo di ribelli, che da qualche tempo stavano soffocando le libertà dei siriani di religione cristiana. Tragici avvenimenti stavano accadendo in Siria, la patria da loro tanto amata, mentre contemporaneamente il padre delle ragazze si ammalava gravemente. Sentendo di essere prossimo alla fine della vita, egli, disperato, suggerì a Kalim di raggiungere la sorella Zara, in Germania, portando con sé il bambino di quattro anni.


Purtroppo, in pochi mesi la vita di Kalim cambiò radicalmente, travolta da una serie infinita di fatti accompagnati da sofferenze sino a poco tempo prima inimmaginabili. Mentre la chiesa cristiana e i monumenti più significativi del paese erano bombardati e rasi al suolo, a oltre due anni dalla scomparsa del marito, senza che ne avesse notizia, era colpita dal grandissimo dolore conseguente alla morte del padre, già da tempo vedovo, che la sprofondava nel più profondo sconforto, privandola di un affetto che aveva costituito sino allora l’unica roccia sulla quale aggrapparsi.

Ora Kalim era sola e disperata. Sapeva che prima o poi l’orda diabolica del terrore sarebbe giunta sino a lei, perché le terribili notizie delle persecuzioni dilagavano alimentando la certezza che i cristiani, soprattutto quelli evoluti e benestanti, sarebbero stati presto del tutto eliminati dal suolo di Siria.


Zara, disperata per quanto stava accadendo nel suo paese, tramite persone fidate riuscì a mettersi in contatto con la sorella, suggerendole di tentare l’espatrio al seguito delle travagliate migrazioni che consentivano di fare approdo in Grecia. Le consigliò pertanto di unirsi a un gruppo di persone del suo stesso ceto, in procinto di partire per oltrepassare il confine con la Turchia e poi imbarcarsi per approdare sulle sponde di Lesbo, una delle isole greche più vicine a questo paese. Pazzia! Pazzia! Il percorso suggerito corrispondeva proprio alla via migratoria che i telegiornali di tutto il mondo definivano estremamente pericolosa per i profughi, a causa dell’implacabile disumanità degli scafisti.


Che cosa avrebbe potuto fare Kalim con il suo bambino? Ormai era rimasta sola! Molti siriani erano riusciti ad ottenere i documenti per espatriare legalmente, ma lei no, perché era cristiana e aveva un marito “scomparso”. Giorno dopo giorno, cresceva in lei la paura di non farcela più ad andare avanti. Che cosa stava succedendo nel suo mondo? Dove avrebbe trovato la forza di sopportare il peso di quella montagna di problemi, difficoltà e sofferenze che la sovrastava?

Per fortuna c‘era un sacerdote, che tra mille pericoli cercava di dare conforto alle persone perseguitate, per mezzo del quale riuscì a recuperare un po’ di denaro vendendo dei tappeti preziosi che facevano parte della ricca collezione lasciatale dal padre. Il ricavato permise alla giovane di avere una risorsa economica sufficiente a pagare il viaggio in Germania per sé e per il figlio insieme ai documenti necessari all’espatrio.


Così, in una grigia mattina carica di vento, Kalim chiuse per sempre la sua casa dietro di sé e il suo bambino. Recitò alcune preghiere e poi si diresse velocemente verso il luogo convenuto, dove un gruppo di siriani era radunato per intraprendere il suo stesso percorso verso la salvezza; c’erano due notai, un medico con la sua famiglia, un artigiano orafo e altre persone, compresi alcuni bambini di dieci, dodici anni. Salirono su un furgone e furono alloggiati sul fondo per essere poi celati da un carico di frutta e verdura stipate davanti a loro. Erano scomodi, ma piacevolmente confortati dall’intenso profumo delle arance e dei limoni. Per loro fortuna non incapparono nei controlli di polizia di confine, cosicché riuscirono in breve tempo a giungere al primo campo profughi. Il buon sacerdote aveva ben preordinato le tappe del viaggio, perciò rinvennero con facilità i riferimenti per compiere il tragitto successivo, necessario per raggiungere il tratto di costa da cui partivano le imbarcazioni pronte per la traversata.


Tutto sembrava procedere secondo i piani prestabiliti, anche se con infinite ristrettezze di cibo e d’igiene, ma i disagi erano facilmente superati grazie alla consapevolezza di essere in tempo di guerra e di avere come unico obiettivo la salvezza della propria vita e il ricongiungimento con familiari o amici, in Occidente.

Trascorsero alcune settimane nel campo base sulla costa turca, prima che fosse programmata la partenza in mare. In inverno il mar Egeo è particolarmente mosso, dalle coste turche fino al largo delle isole egee, e fu perciò necessario attendere il momento più opportuno per affrontare con i gommoni il mare aperto, in modo da ridurre, per quanto possibile, i rischi della traversata.


Kalim, pacata e silenziosa, restava in attesa, inducendo molti ad apprezzare il coraggio che trapelava dal suo sguardo vigile e materno. Il suo bambino, protetto dall’affetto della mamma, sembrava persino vivere come una bella avventura la nuova pericolosa esperienza. I giorni passavano e dalla Grecia giungevano notizie positive tendenti a mettere in risalto un certo miglioramento dei transiti migratori, grazie all’interessamento dell’Unione Europea, che si stava attivando per organizzare ordinatamente gli sbarchi dei profughi sulle rive dell’isola egea, che distava solo un paio di chilometri dalle coste turche. Kalim era consapevole di essere solo all’inizio dell’impresa e che avrebbe dovuto proseguire con vari mezzi fino al confine sloveno, da cui sarebbe proseguita in pullman fino alla dogana austriaca, secondo gli accordi intercorsi all’atto del pagamento della quota stabilita, che includeva il viaggio, vitto, e alloggi nei campi profughi. La conoscenza della lingua inglese e tedesca le era di grande aiuto anche nel fornire aiuto ai suoi connazionali, che la consideravano come mediatore linguistico tra le varie parti in causa.


Giunse finalmente l’alba della tanto attesa partenza. Non appena furono in prossimità del gommone su cui avrebbero dovuto prender posto, Kalim comprese immediatamente che il mezzo sarebbe stato troppo carico, con conseguente elevato rischio di affondamento, ma non ci fu possibilità di discuterne la portata; lo scafista era un uomo duro, armato di bastone, che utilizzava senza remissione per dirigere e orientare le file dei profughi in attesa dell’imbarco, e minacciava di usarlo abbondantemente sui malcapitati che rimanevano bloccati oppure gridavano, presi dal panico.

Kalim si era vestita accuratamente; aveva riempito il suo zaino e vestito il figlio di rosso, in modo che fosse visibile da lontano, con giacca impermeabile, berrettino e guantini, come se dovesse andare sui monti a slittare sulla neve. Ma non era la soffice neve bianca quella che avrebbero affrontato, bensì le onde scure, burrascose e gelide dell’Egeo.


Alla fine, il gommone, stipato fino all’inverosimile, si staccò dalla riva. Un silenzio spettrale aleggiava fra gli occupanti, tutti concentrati a tenersi ben saldi. Per qualche tempo, la navigazione sembrò procedere tranquilla, finché una donna cominciò ad avere conati di vomito, provocando una reazione contagiosa fra molti degli imbarcati, che, come lei, iniziarono a stare male.


“Basta! Finitela! Trattenete il vomito nel fazzoletto!” gridava lo scafista in una lingua incomprensibile. “Chi di voi parla inglese?” chiese poi, urlando minaccioso in questa lingua. Kalim, allora, si fece forza e alzò la mano. “Vieni qua, accanto a me, a spiegare loro come devono comportarsi!” le ordinò l’uomo. Lei tentò di alzarsi, ma proprio in quel momento un’onda gigante sollevò il gommone da un lato e una donna, che stava vomitando verso il mare, perse l’equilibrio precipitando in acqua. “Fermati! … Fermati!” urlarono alcuni uomini allo scafista, alzandosi scompostamente nel vedere scomparire la donna tra i flutti. “State giù” urlò lui per tutta risposta, “si è alzato il mare ed è molto pericoloso …”. E allora fu l’inferno. Altre due persone si persero in acqua, mentre le donne scoppiarono in un pianto disperato senza riuscire a trattenere i bambini che si dimenavano urtandosi reciprocamente.


“Bravo, gioia mia!” sussurrò Kalim al suo bambino, consolandolo sottovoce. “Stai buono e presto arriviamo!”. Ma proprio mentre il suono di queste parole dolci e rassicuranti giungeva alle orecchie del bimbo impaurito, un’onda immensa, dopo aver sovrastato il gommone, nel ritirarsi lo inghiottì.

Impietrita dal terrore, Kalim iniziò a urlare allo scafista: “Fermati! Il mio bambino è caduto in mare!”. Gridò con quanto fiato aveva in gola, ma il gommone implacabile continuò a cavalcare i flutti malvagi. Nulla poteva essere fatto per salvare chi finiva in mare.


“Mi butto!” disse Kalim con voce rotta dall’angoscia. “Non farlo, non servirebbe, moriresti! Tu puoi fare ancora molto per noi” le disse, trattenendola, un uomo, mentre la guardava negli occhi con autorevolezza.

Pena, tormento, disperazione! Cos’erano in confronto al dolore di Kalim? Sofferenza inesprimibile! Valeva la pena di vivere ancora? No! Forse era necessario morire in mare col suo piccolo. Ma quell’uomo la trattenne e lei diede la stura a un pianto continuo, ininterrotto, fino al punto di sentirsi ubriaca di dolore.

Alla fine giunsero a riva! Un gruppo di volontari isolani aiutò i sopravvissuti a mettere i piedi a terra, dando loro assistenza e distribuendo delle coperte perché si riparassero dal freddo. Un’assistente si avvicinò alla donna, che sembrava caduta in trance, e comprese il suo dramma ascoltando il racconto di un esule siriano che aveva assistito alla tragedia della caduta in mare del bambino.


Così Kalim fu presa in cura, incoraggiata, assistita e aiutata a recuperare i suoi documenti per continuare il viaggio. L’autista dell’autobus prepagato aveva la lista dei passeggeri, su cui era annotato il suo nome, insieme alle carte da lei regolarmente compilate a suo tempo. Al primo controllo, rilasciò le sue impronte e ripartì assieme ai viaggiatori regolari, ma non sapeva né dove fosse, né che cosa le stesse capitando. Seduta accanto al finestrino guardava fuori immersa in una sensazione di vuoto, senza vedere ciò che scorreva davanti ai suoi occhi.

A una fermata del pullman, salirono sul mezzo due bambini soli; forse non avevano neppure sei anni e si tenevano per mano smarriti, impauriti. Conservavano i loro documenti cuciti all’interno di una pettorina e, dopo aver percorso il corridoio del pullman, quasi per attrazione, andarono a sedersi accanto a Kalim.

Solo dopo circa mezz’ora, ella si accorse della loro presenza e comprese che erano soli. Nonostante la loro tenera età, sapevano ben parlare inglese e Kalim venne così a conoscenza del fatto che la loro mamma era caduta in mare, proprio mentre erano in viaggio per andare a raggiungere una zia. Non piangevano, sedevano compostamente, senza fare storie di fronte al cibo che veniva loro offerto; sembravano dei grandi, sebbene fossero ancora molto piccoli.




Kalim pensò al suo bambino e subito dopo un pensiero la trafisse: … e se fosse toccato a lei cadere lei in mare, che cosa avrebbe potuto fare lui per salvarla?

Il viaggio era interminabile. Stavano attraversando moltissimi territori e varie nazioni e, nel frattempo, molta gente doveva abbandonare l’impresa perché non aveva mezzi o la documentazione necessari per risalire tutta la penisola balcanica e giungere fino nel Nord Europa.

Guardando i due piccoli con tenerezza, Kalim iniziò ad accarezzarli osservando che avevano gli occhi azzurri, poi, pian piano, cominciò a prendersi cura di loro. Quando, infine, giunsero esausti al punto d’arrivo, essi si aggrapparono alla sua giacca, e Kalim nel dare loro la mano sentì nel suo palmo quanto le loro fossero piccole e indifese. Al posto di blocco si presentò unitamente ai due piccoli, dichiarando alla polizia che avrebbe provveduto lei per loro.

Quando poi si trovò di fronte alla sorella Zara, Kalim scoppiò in un pianto dirotto e, pur senza prole, Zara comprese! Subito dopo presentò alla sorella i due bambini orfani manifestando il desiderio di tenerli con sé, nel caso in cui non avessero potuto raggiungere la loro zia.


Finalmente, fisicamente sfiniti, ma soprattutto moralmente distrutti, giunsero a casa. Che meraviglia essere in un luogo familiare, caldo, accogliente, con un letto pulito per dormire! La vita pian piano si faceva  nuovamente strada dentro di loro.

Quella notte Kalim fece un sogno meraviglioso: vide il suo bambino tenuto per mano da una giovane donna che sorrideva serena e accanto a loro tanti bambini ridenti immersi nella luce. Milioni di piccole stelle si sparsero nel cielo come brillanti, dando origine a un momento denso di pace, senza dolore.

La vita ricominciava dall’amore e una nuova consapevolezza, originata da un dolore straziante, si apriva, portando con sé valori rigenerati e sentimenti nuovi da cui ricominciare a esistere.

Luisella Traversi Guerra

Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.

Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA