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Cavani e San Francesco: affascinata per ben tre volte da una figura immensa

Redazione online Ansa - MASSIMO PERCOSSI
Pubblicato il 30-11--0001

Francesco è un pensatore straordinario, un uomo gigantesco e imprevedibile, dotato di una libertà assoluta, uno dei massimi intellettuali della nostra vicenda culturale, uno sempre avanti

Le piace sostare nella basilica superiore di Assisi ad ammirare il ciclo pittorico con cui Giotto racconta i momenti cruciali della vita di san Francesco, come se quelle pennellate altro non fossero che cinema del Medioevo. Un film, insomma. Lei, Liliana Cavani, di film sul santo di Assisi ne ha realizzati tre: «Se non avessi avuto un’educazione laica, non avrei potuto farli», dice. La sua filmografia sembra ruotare attorno alla centralità dell’uomo, i suoi protagonisti sono fuori dal coro: Galileo e la laicità del sapere, il mistico buddhista Milarepa alla ricerca di sé stesso; o l’ex nazista Altdorfer, protagonista de Il portiere di notte e il filosofo della crisi Nietzsche in Al di là del bene e del male.

 Chi è il santo-poeta del Cantico delle creature?
«Francesco è un pensatore straordinario, un uomo gigantesco e imprevedibile, dotato di una libertà assoluta, uno dei massimi intellettuali della nostra vicenda culturale, uno sempre avanti. Non a caso Dante lo colloca nel Paradiso, e lo considera non solo un poeta ma anche un politico. Francesco è il cambiamento, la rivoluzione: eppure per anni è stato il santo che parlava agli uccelli».

 Partiamo dal suo primo Francesco d’Assisi.
«Nel 1966 Angelo Guglielmi, allora dirigente Rai, doveva produrre una celebrazione dedicata a Francesco e me ne parlò ma io gli dissi che non ero interessata a lavorare in studio e neppure la figura del santo mi interessava particolarmente. Volli però leggere la biografia scritta da Paul Sabatier, per me la migliore, un vero romanzo di formazione. Rimasi fulminata dalla sua modernità e proposi di farne un film: budget trenta milioni, quello destinato al programma televisivo. Con quel lavoro fui invitata a Venezia, quell’anno c’era in concorso La prise de pouvoir par Louis XIV di Roberto Rossellini che vinse il Leone d’oro. Ci fecero tante interviste insieme, il maestro e la debuttante, e lui, che aveva già girato un film su Francesco, mi raccontò vari aneddoti. La Rai, però, non voleva trasmettere il mio film, che passò solo grazie a monsignor Angelicchio, direttore del Centro Cattolico Cinematografico, che aveva sdoganato Il vangelo secondo Matteo di Pasolini. Io fui bollata come cripto-comunista e il Movimento Sociale fece un’inter - pellanza perché il patrono d’Italia non poteva avere la faccia di Lou Castel, ragazzo straordinario: lo ricordavano tutti come il ribelle de I pugni in tasca di Marco Bellocchio».

Il suo secondo Francesco, nel 1989, lo affidò a Mickey Rourke e anche questa scelta fu criticata: un attore troppo sexy, si disse…
«Mickey mi era piaciuto ne L’anno del dragone: chiesi di lui a Charlotte Rampling che me lo descrisse come un uomo eccezionale e, quando lo incontrai capii di aver trovato il mio Francesco. Anche se a volte non viene fuori, è una persona dolcissima, buona, generosa».

Il terzo film, ancora Francesco, nel 2014, nulla ha a che fare con il rinato appeal verso il poverello di Assisi dovuto a papa Bergoglio.
«A sceneggiatura quasi ultimata, in Rai mi dissero che pensavano di aver esaurito un argomento che non meritava di ulteriori approfondimenti. La nomina di Bergoglio cambiò tutto, e accettarono il mio lavoro».

La modernità di Francesco…
«È stato il primo, dopo Gesù, a dire “la pace sia con voi”, e non va dimenticato l’incontro con il sultano d’Egitto Malik al-Kamil, al cui cospetto si presenta da antesignano del dialogo tra religioni».

Lei ha rappresentato aspetti diversi di un’unica storia. Il lavoro degli altri registi presenti in mostra? «Quando si racconta un personaggio realmente esistito, ciascun narratore si sofferma maggiormente sui fatti che più lo hanno colpito, tralasciandone altri. Io mi sono attenuta ai testi storici del Medioevo». (ANFI - Giornale di Sicilia)

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