religione

Se il Papa chiede di lavorare su un testo di due anni fa…

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Agli «stati generali» della Chiesa italiana Francesco non è venuto a dare ricette, né tantomeno a presentare un «progetto bergogliano» con il quale sostituire altri progetti o chiudere vecchie stagioni ecclesiali. Eppure le sue parole sono destinate a segnare uno spartiacque. Nel suo lungo e articolato discorso, tenuto sotto la cupola del Duomo di Firenze con l'affresco del Giudizio universale, il Papa ha proposto alla Chiesa italiana  un minimalismo evangelico centrato sullo sguardo all'umanità di Gesù, sulla predilezione per i poveri e sull'apertura al dialogo e al confronto con tutti. Non ha fatto discorsi astratti sull'«umanesimo», ma ha usato parole «semplici e pratiche». Ha indicato tre sentimenti di Gesù - l'umiltà, l'interesse per la felicità dell'altro, la beatitudine evangelica - e ha messo in guardia dalle tentazioni di confidare «nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte» e di una fede «rinchiusa nel soggettivismo».

Nel tracciare il cammino, Francesco suggerisce a tutti di guardare al «cristianesimo generico» del popolo di Dio, anche dove è un piccolo gregge un po' sgangherato, piuttosto che puntare sui movimenti organizzati, sulle élite d’assalto, sui progetti che credono di influenzare il pensiero di massa attraverso le «battaglie culturali».

Ma la vera notizia, questa volta, sta nelle ultime righe del testo papale. Francesco, dopo aver ripetuto che non sta a lui tracciare il nuovo percorso della Chiesa italiana («Spetta a voi decidere») ha fatto un'unica richiesta: «In ogni comunità, in ogni parrocchia, in ogni diocesi, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento dell’Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni». Ora, quella esortazione, vero documento programmatico del pontificato, è stata pubblicata già due anni fa. Se il Pontefice invita a riprendere in mano quel testo evidentemente ritiene che la Chiesa italiana non l'abbia fatto o non l'abbia fatto abbastanza.

Non è questione di slogan. Non si tratta di sostituire nei soliti discorsi i «valori non negoziabili» con i «poveri» o le «periferie», né riscrivere i curricula per candidati vescovi mettendo al primo posto le ore trascorse alla mensa della Caritas, se tutto resta come prima. La «conversione pastorale» che Francesco indica con il suo pontificato è qualcosa di più semplice e al tempo stesso più radicale. È una Chiesa «inquieta» che si fa spiazzare e mettere in discussione dal Vangelo, che abbandona ogni collateralismo, ogni «surrogato di potere, d'immagine, di denaro». Una Chiesa che non si culla della sua presunta egemonia, delle sue sicurezze economiche e strutturali.

Dopo i convegni di Loreto (1985), Palermo (1995) e Verona (2006), per la prima volta in trent'anni, gli «stati generali» della Chiesa italiana si svolgono senza la guida del cardinale Camillo Ruini. Eppure anche questa volta un don Camillo era presente. Ma si trattava del parroco reso memorabile dai racconti di Guareschi, il «povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro». (Vatican Insider)

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