religione

NATALE, SAN FRANCESCO E L'ESEMPIO DI CRISTO POVERO

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

LE CELEBRAZIONI PRINCIPALI SONO TRASMESSE IN DIRETTA STREAMING

Greccio, Natale del 1223: Francesco predispose tutto l’occorrente per celebrare in modo degno l’eucaristia in quel giorno solenne; con l’aiuto di un nobile del luogo, un certo Giovanni, fece porre della paglia in una mangiatoia e si procurò perfino un bue e un asino, perché fosse visibile a tutti, «con gli occhi del corpo», in qual modo il bambino Gesù era nato a Betlemme, privo di tutto ciò che è necessario a un neonato. Il popolo accorse in massa, portando ceri e fiaccole; dopo che ebbero meditato la grandezza del mistero grazie anche alla scena che era stata allestita, sulla mangiatoia venne approntato l’altare e fu celebrata l’eucaristia. Francesco, diacono, intonò il Vangelo e predicò al popolo, con molto trasporto, sul Re nato povero e su Betlemme, città piccolina. Tutti, infine, tornarono alle loro case, pieni di gioia. Questo, nella sostanza, il racconto del primo biografo.


  Francesco, dunque, non pensò di inscenare un presepe come l’intendiamo oggi: non c’era il Bambino nella mangiatoia, e non c’erano adulti ad interpretare i ruoli di Maria e di Giuseppe, ma su quella stessa mangiatoia fu celebrato il sacrificio eucaristico. Egli volle quindi ricreare le condizioni per favorire un incontro reale con il mistero dell’incarnazione del Signore. Per lui, infatti, l’eucaristia e l’incarnazione rinviavano alla stessa scelta di fondo, quella di un Dio che si è umiliato per la salvezza dell’uomo. L’eucaristia perpetua la presenza di Cristo nella storia ed esige, al tempo stesso, che – come Cristo – sappiamo espropriarci di tutto.


  In quel Natale, Francesco volle pertanto riproporre l’esempio di Cristo povero, affinché tutti potessero seguirne le orme (1Pt 2,21). Abbiamo invece finito per credere che in quella celebrazione di Greccio egli abbia inventato il presepe: un mito capace di poesia, certo, ma che depotenzia della sua forza una riflessione altissima, proposta concreta di una sequela esigente e rigorosa. Torniamo a meditarla per trarne le doverose conseguenze nella nostra vita!


  Il Natale, inoltre, assumeva per lui ulteriori significati. I suoi compagni ricordano di avergli udito dire, molte volte, che se avesse avuto la possibilità di parlare con l’imperatore l’avrebbe pregato, per amor di Dio, di emanare un decreto che costringesse ogni anno, a Natale, tutti i podestà delle città e i signori dei villaggi a chiedere agli abitanti dei loro luoghi di spargere sulle strade frumento e altre granaglie affinché gli uccelli, e in special modo le allodole, potessero mangiare a sazietà in un giorno tanto solenne. A onore del Figlio di Dio, si sarebbe poi dovuto provvedere a buoi e asini, gli animali che avevano riscaldato il Bambino Gesù adagiato nella mangiatoia. E non solo: nel giorno della Natività del Signore, i ricchi avrebbero inoltre dovuto sfamare i poveri.


  Il Natale, dunque, era per Francesco un annuale giubileo. Il giubileo biblico veniva, ogni cinquant’anni, ad appianare le differenze che si erano create tra le persone: con il condono dei debiti, la restituzione della libertà agli schiavi e delle terre agli originari proprietari ai quali erano state confiscate. Allo stesso modo, Francesco voleva che a Natale non vi fossero persone bisognose: almeno in quel giorno bisognava adoperarsi per lenire le disuguaglianze, perché la gioia avesse il predominio assoluto; una gioia cosmica, che doveva a coinvolgere anche gli animali, che egli chiamava con il nome di fratelli, e che scaturiva da una ben chiara radice: l’Amore di un Dio che – per gli uomini – aveva donato Se stesso.


  Anche per noi tutto scaturisce da quella stessa radice?
Felice Accrocca

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