religione

Francesco in Uganda, messaggero di unità

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

“Da ogni parte dell’Uganda arriveranno a Kampala religiosi e laici, giovani e anziani:  c’è emozione e gioia, ci si prepara spiritualmente e materialmente: tutti gli ugandesi aspettano l’arrivo del Santo Padre”. Monsignor Matthew Odong, vicario generale dell’arcidiocesi di Gulu, nel nord dell’Uganda, riassume così l’atmosfera a pochi giorni dalla visita di Papa Francesco, che inizierà il 27 novembre. Il paese della regione dei Grandi Laghi sarà la seconda tappa del viaggio apostolico del Pontefice, che vi arriverà dal Kenya, trovando però una situazione per molti versi differente da quella dello stato confinante.

Come il Kenya, infatti, oggi l’Uganda è in pace, ma questa conquista è arrivata a caro prezzo. Dall’inizio degli anni ’80, in effetti, si sono susseguiti scontri e conflitti civili: prima quello che ha portato al potere, nel 1986, Yoweri Museveni, ancora oggi capo dello Stato; poi quello che, fino al 2008, ha opposto il governo ai ribelli del nord e in particolare al Lord’s Resistance Army del fanatico ‘signore della guerra’ Joseph Kony. “Abbiamo sofferto molto, in vari modi - ricorda mons. Odong, la cui diocesi è stata colpita duramente dagli attacchi dei ribelli e dalla reazione dell’esercito - e per questo mi aspetto che il papa metta l’accento sull’unità, sul lavorare insieme come figli di Dio”. In questo senso, spiega il religioso, la visita è una sorta di continuazione ideale dell’ultima compiuta da un Pontefice nel paese: “L’Uganda - dice infatti - aspetta un messaggio di riconciliazione, dopo che Giovanni Paolo II, nel 1993, ne ha mandato uno di speranza, venendo qui come il Buon Pastore, a ricordare che nonostante tutte le sofferenze Dio non ci ha dimenticati ed è ancora con noi”.

Un primo segnale di unione, l’Uganda lo manda proprio nell’attesa di Francesco: la sua figura, infatti, è ammirata anche al di fuori della Chiesa cattolica, che raccoglie il 47% dei fedeli. “Il Papa è una personalità amata: anche gli anglicani e i musulmani guardano a lui come qualcuno che può portare un messaggio valido per tutto il paese e per tutta l’umanità”, continua il vicario generale di Gulu. Questo compito, dopo la partenza del Papa, sarà anche quello della Chiesa locale: essenziale resta in particolare proprio quella formazione del clero e dei laici su cui Jorge Mario Bergoglio, da vescovo di Roma, ha spesso messo l’accento. “Ritengo che il papa, proprio in quanto pastore, ne parlerà anche qui: - prevede mons. Odong - la partecipazione di tutti all’evangelizzazione ognuno secondo il proprio ruolo, è fondamentale, è qualcosa a cui tutti siamo chiamati nel Battesimo”.

Oltre che spirituale, politica o sociale, però, la coesione, prosegue il prelato, è anche familiare. “Le famiglie sono le cellule e il nucleo della società: famiglie forti fanno forte la Chiesa e la società”. Da qui anche quella che il religioso descrive come una delle sfide ancora più pressanti per la Chiesa: far sì che questi valori siano vissuti concretamente. “La violenza domestica - riconosce infatti - è ancora un problema: dobbiamo lavorare sul tema e ci stiamo provando, attraverso il dialogo con i genitori, che incoraggiamo a evitare di usare la forza. Non aiuta la crescita dei figli e crea conflitto, è distruttiva, e quindi contraria al progetto di Dio. La vita a cui ci chiama Cristo si deve esprimere prima di tutto nella famiglia, a casa, nel vivere insieme di genitori e figli. Anche di questo spero che Francesco parli”. (Vatican Insider)

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