religione

Contro la ’ndrangheta la Chiesa vieta i padrini per i prossimi 10 anni

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Mai più «padrini» di mafia nei sacramenti. Il primo a rispondere all’anatema lanciato una settimana fa da Francesco alla ’ndrangheta («I mafiosi sono scomunicati») è stato l’arcivescovo di Reggio Calabria, Giuseppe Fiorini Morosini: in una lettera ha comunicato al Pontefice che nella sua diocesi saranno aboliti per 10 anni i padrini nei sacramenti del battesimo e della cresima. 

Una svolta che si è subito estesa nella Chiesa meridionale e che trae ispirazione dalla lezione di Jorge Mario Bergoglio, in prima linea da arcivescovo di Buenos Aires nel contrastare i «narcos». «La scelta del vescovo è un gesto legittimo, anzi doveroso se la loro presenza è dannosa alla crescita spirituale della comunità», osserva l’arcivescovo Bruno Forte, teologo stimato nei sacri palazzi. E il coinvolgimento nella decisione del Papa, in quanto «massima autorità», è la «testimonianza della fermezza con cui la Chiesa combatte la mafia». 

Sotto il profilo teologico - assicura Forte - l’abolizione dei padrini «non contrasta né con la lettera né con lo spirito delle disposizioni canoniche». Il codice di diritto canonico richiede che il padrino conduca una vita conforme alla fede. «Se si scomunicano i mafiosi, è coerente non accettarli come testimoni in un sacramento - assicura Forte -. La decisione vale per la diocesi che la adotta e al suo interno è vincolante per le parrocchie: nessun parroco può contravvenire all’indicazione del vescovo e comportarsi in modo diverso». Immediata l’adesione dei presuli più impegnati contro le cosche. 

Alla diocesi di Mazara del Vallo, nel cui territorio le forze dell’ordine ritengono che si nasconda l’ultimo «capo dei capi» di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, il vescovo Domenico Mogavero, già postulatore della causa di canonizzazione del martire antimafia don Pino Puglisi, sottoscrive subito l’esclusione degli «uomini d’onore». E spiega a La Stampa: «C’è stato un movimento spontaneo dalla base. Sono stati molti parroci a chiedermi di “semplificare” i riti». 

Per due motivi: «I padrini non adempiono all’ufficio di accompagnatori dei “figliocci” e sono figure equivoche che è meglio rimuovere». A fornire l’inquadramento teorico all’approccio di Bergoglio sono i gesuiti di Scampia. «I sacramenti vanno amministrati a chi ci crede e segue il Vangelo: fare da padrino significa compiere un cammino di fede ed essere segno della presenza dello Spirito, la fede non ha carattere burocratico e non è un fatto di certificati e firme sul registro». In alternativa all’abolizione «siano i catechisti a fare da padrini», concorda Giancarlo Maria Bregantini, oggi arcivescovo di Campobasso e presidente della commissione Cei per i problemi sociali dopo aver guidato la diocesi di Locri. Interviene anche il presule-pioniere nella lotta ai clan. «Ai malavitosi dico: non fate da padrini, lasciate stare i sacramenti, questa la vigna di Dio. I sacramenti non possono essere amministrati per compiacere i malavitosi». 

Sulla stessa linea il giornalista e scrittore Simone Di Meo: «Le cosche traggono forza dall’uso strumentale delle pratiche religiose e ricorrono alla commistione tra sacro e profano per imporsi come legge alternativa a quella dello Stato e di Dio». Dunque, «abolire i padrini è un segno fortissimo, da estendere a tutto il Sud». E l’uomo di fiducia di Francesco nella Chiesa italiana, il vescovo di Cassano Jonio Nunzio Galantino promette: «I sacerdoti non saranno lasciati soli: come Conferenza episcopale, adotteremo le soluzioni più idonee dal punto di vista pastorale». Nei covi dei latitanti si trovano spesso immagini sacre. Nell’ultimo nascondiglio del boss dei Casalesi, Francesco «Sandokan» Schiavone, c’era un dipinto di un Volto Santo, a cui lo stesso capoclan stava lavorando con tempera e pennelli. Un quadro sacro, in cui «Sandokan» si specchiava idealmente. (La Stampa)

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