religione

Con sguardo contemplativo

Andrea Iacomini portavoce UNICEF Italia ANSA-ZUHAIR ABUSREWIL
Pubblicato il 01-01-2018

Osservando i migranti e i rifugiati, questo sguardo saprà scoprire che essi non arrivano a mani vuote: portano un carico di coraggio, capacità, energie e aspirazioni, oltre ai tesori delle loro culture native, e in questo modo arricchiscono la vita delle nazioni che li accolgono. Saprà scorgere anche la creatività, la tenacia e lo spirito di sacrificio di innumerevoli persone, famiglie e comunità che in tutte le parti del mondo aprono la porta e il cuore a migranti e rifugiati, anche dove le risorse non sono abbondanti.

 

 

Con sguardo contemplativo

Ormai il dato umano – il bambino o l'adolescente solo e vulnerabile – passa in secondo piano rispetto allo storytelling roboante sulla minaccia che questo ragazzino potrà rappresentare domani, se non già oggi: terrorista, stupratore, nel migliore dei casi peso morto da mantenere o concorrente sul mercato del lavoro.

Nella terza parte del suo discorso papa Francesco compie lo sforzo più ardito e ammirevole, allorché propone alla politica di mutuare le istanze più nobili e genuine della visione giudaico-cristiana in tema di fratellanza e solidarietà.

Noi viviamo in una società secolarizzata, nella quale è d'obbligo tracciare una linea di separazione tra i valori e i riferimenti religiosi e quelli civili. Un appello ai decisori politici del Terzo Millennio fondato sui testi di Isaia e dell'Apocalisse potrebbe sembrare a molti insolito, se non persino inopportuno. Eppure, chi potrebbe negare la continuità e la contiguità fra il dovere biblico dell'accoglienza e della protezione dello straniero (frequente già nell'Antico Testamento) e i valori enunciati nelle moderne Convenzioni internazionali sui diritti umani, inclusa quella di cui noi dell'UNICEF siamo portatori per eccellenza – la Convenzione sui diritti dell'infanzia? Saremmo forse più laici se rifiutassimo di riconoscere questa coincidenza di valori etici e filosofici?

Il vero nodo che il messaggio pontificio ci pone dinanzi è un altro: quanto contano davvero i valori della solidarietà nelle visioni politiche che si confrontano oggi? Quanto si salva del nostro patrimonio etico, civile e culturale quando le proposte e le decisioni con cui affrontiamo il fenomeno migratorio sono finalizzate al consenso di breve, brevissimo termine: quello della prossima scadenza elettorale o del prossimo voto di fiducia?

Come sentivo dire qualche giorno fa in un'intervista televisiva da mons. Galantino, la preoccupante carenza di idealità nella politica si traduce in un analfabetismo sociale che appiattisce tutto al livello dello slogan e della retorica, rendendo faticoso e difficile qualsiasi tentativo di progettare il "bene comune". E questa distorsione si manifesta soprattutto in relazione al fenomeno dei migranti e dei rifugiati.

Nel nostro lavoro quotidiano in difesa dei minorenni stranieri non accompagnati, incontriamo ostilità e durezze fino a ieri inimmaginabili. Ormai il dato umano – il bambino o l'adolescente solo e vulnerabile – passa in secondo piano rispetto allo storytelling roboante sulla minaccia che questo ragazzino potrà rappresentare domani, se non già oggi: terrorista, stupratore, nel migliore dei casi peso morto da mantenere o concorrente sul mercato del lavoro.

Abbiamo davvero bisogno di ritrovare uno sguardo più alto, se vogliamo costruire qualcosa che valga la pena di essere trasmesso alla generazione successiva.

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