EQUILIBRIO DI PACE: NON DISPERIAMO

Giuseppe Scanni
Pubblicato il 06-06-2017

La inesorabile continuità dei fatti può rischiare di far perdere, a noi tutti che siamo utenti del sistema comunicativo mondiale, il nesso connettivo politico, culturale ed etico degli stessi avvenimenti.

In pochi giorni il viaggio del presidente Trump in Arabia Saudita, in Israele, nella Santa Città del Vaticano, e infine a Bruxelles ed in Italia, seguito dall’attentato terrorista a Londra, hanno disseminato nella mente tanti temi degni di riflessione; forse troppi per valutare la loro intrinseca unicità.

Ricordo l’Angelus domenicale di papa Benedetto XVI che, in vista della Prima Giornata per la Salvaguardia del Creato, proclamata dalla CEI per ilprimo settembre2006 , affermò : il Creato è un dono di Dio da tutelare! ,ed invitò i cristiani a riflettere sugli stili di vita che degradano l’ambiente. In quella occasione il direttore di questa Rivista, Padre Enzo Fortunato, sostenne che se papa Benedetto aveva parlato di “degradazione “ dell’ambiente, proprio il termine usato (degradare) faceva immediatamente riflettere , come San Francesco aveva invitato a fare riferendosi a Madre Terra, a come le guerre ”non solo distruggono l’uomo, ma distruggono anche l’ambiente”.

Papa Francesco con la “Laudato Sì” e con la continua sollecitazione sia verso i potenti del mondo sia verso tutti gli uomini di buona volontà e per primi i cristiani ( ricordo l’esortazione recentissima : ”non dimentichiamo mai che l’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità”) incalza perché l’uomo prenda coscienza della unitarietà del Creato; una unitarietà che comporta ricerca di armonia, pacificazione dell’uomo con se stesso e con gli altri uomini, e quindi dialogo e pace.

Il mondo si dette un impegno a Parigi , con un accordo sottoscritto da 194 paesi il 12 dicembre 2015: limitare l’incremento della temperatura media della Terra , in questo secolo, di meno di 2°C rispetto al livello pre industriale. Senza gli indirizzi concordati a Parigi, nel 2100 il riscaldamento aumenterà di 4,2° C.  Ormai sono note le principali conseguenze che il surriscaldamento provocherà con un aumento di 4°C: scioglimento dei ghiacciai, aumento di eventi atmosferici estremi, almeno sei mesi l’anno di siccità in nordafrica e medioriente, aumento del rischio di malaria, incendi nelle foreste boreali, aumento del livello dei mari, estinzione delle barriere coralline.

Il 70% della emissione dei gas “serra”, cioè quei gas che provocano l’effetto di riscaldare la terra, sono, in ordine decrescente: Cina ( 24%), Stati Uniti (12%), Europa (9%), India (6%), Brasile ( 6%), Russia ( 5%), Giappone (3%), Canada( 2%), Indonesia (1,5%9), Rep. dem. del Congo ( 1,5%).

I numeri rendono assai chiaro il costo ambientale della industrializzazione planetaria ed anche della vita alla quale ci siamo abituati consumando benzina, carbone e metano. Prima del 2020 , poiché politiche energetiche efficaci sono state già intraprese, secondo studi citati dal Wall Street Journal, gli USA conterranno comunque del 17% il loro attuale inquinamento atmosferico, ma poi il processo subirà una brusca fermata e il programma di diminuzione nel quinquennio 2020-2025 di ulteriori 9/11% di emissioni non si realizzerà.

L’industria statunitense, diversi Stati, a cominciare dalla California, almeno 60 grandi città nord americane, hanno espresso un forte dissenso allo stop della riduzione di Co2 che Obama immaginava entro il 2025 del 26-28%. D’altronde lo sviluppo dello shale gas, ricavato dal sottosuolo, ha già sostituito un terzo delle combustioni a carbone e il Senato della California, nell’ambito dei suoi poteri, ha stabilito che entro il 2045 tutta l’energia usata nello Stato dovrà provenire dalle rinnovabili.  

La catastrofe ambientale non è un pericolo ed una realtà sconosciuta all’Europa che vede i suoi grandi paesi Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna ( che nonostante la Brexit è saldamente un paese europeo) già aver sostituito il 15-20% dei suoi consumi energetici con fonti rinnovabili ( solare ed eolico ed in alcuni casi il nucleare). La Cina , che da sola emette il 22% di gas serra intende mantenere l’accordo di Parigi e questa è una buona notizia.

La cattiva notizia è che il neo protezionismo statunitense, la Trumpeconomics , di cui fa parte la politica energetica, interviene direttamente sugli equilibri planetari che già di loro sono precari.

Lo straordinario numero di uomini e donne che fuggono dalle guerre è poca cosa confrontato al numero di chi fugge la fame e la miseria che si sono create in zone una volta fertili del pianeta. Come non vedere , pensando al terrorismo, che una strategia importante è quella di permettere a popolazioni intere di non muoversi dai paesi natii più vulnerabili di quelli più ricchi, disarmando le mani dei terroristi ed anche i rischi di destabilizzazione democratica, che in non pochi casi sono conseguenti alle immigrazioni non controllate?

Ed ancora . La fine , speriamo momentanea, dello spirito Transatlantico e del ritiro degli USA dal multilateralismo, crea un vuoto che la UE non può sostituire in mancanza di adeguate strutture decisionali militari ed economiche. 

La UE ha sinora partecipato all’equilibrio mondiale apportando l’esperienza del costo di guerre sanguinose e quindi perorando, sostanzialmente, politiche basate sul multilateralismo, su regole consensuali, sul libero commercio, con un termine solo, sulla fiducia.  

La vendita di armi a Riad ha sollevato l’industria bellica americana, ma non ha disarmato il terrorismo , che non è targato come iraniano. L’elevazione dell’Arabia Saudita da capitale religiosa a guida regionale dell’area, ha messo in difficoltà gli Stati europei, che hanno mantenuto difficili intese diplomatiche nella zona diversificando i loro interlocutori politici e riconoscendo una supremazia  diplomatica all’Egitto. L’ evidente accanimento anti iraniano dell’attuale Amministrazione statunitense alimenta rischi nell’area. Il tentativo di contemperare l’armamento sunnita ed assicurare il mantenimento dei rapporti con Israele, che siamo abituati a conoscere, si rivela complicato, basta pensare al fatto che nonostante le dichiarazioni roboanti ( ed in questo caso è meglio così) la sede dell’ambasciata statunitense resta a Tel Aviv e non sarà trasferita a Gerusalemme. In ogni caso il governo israeliano ha misurato da che parte pende la bilancia che misura i vecchi impegni ed i nuovi affari.

Il difficile rapporto che si è creato nel G7 tra i paesi industrializzati rende problematico un confronto costruttivo nel G20 e la UE , come si è visto nel mancato successo dell’ultimo tentativo di firmare un protocollo di intese commerciali ed industriali con la Cina. Questo caso evidenzia ancora una volta come la UE non possa colmare un vuoto, che in quanto tale è sempre pericoloso.

Le difficoltà portano difficoltà, ma la soluzione di una difficoltà aiuta a risolvere anche le altre. Speriamo che, se non i valori ed i sentimenti comuni tra le due sponde dell’Atlantico, almeno gli interessi commerciali, il computo dei costi e benefici sia di qualche ausilio per impedire che i rischi diventino certezza di danni; auguriamoci che, a cominciare dalle giornate per il clima che in questi giorni arricchiranno l’impegno sollecitato dalle Nazioni Unite a favore dell’ambiente, si innesti un positivo cambio di rotta per preservare l’equilibrio, la pace. Cominciare con la partecipazione attiva a questa 45° giornata mondiale dell'ambiente.

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