Lettere al direttore

CONDIVIDIAMO NOI STESSI

Enzo Fortunato
Pubblicato il 30-11--0001

Caro padre Enzo, dalla Cina arriva la notizia che un ragazzino undicenne, affetto da tumore cerebrale, ha voluto che i suoi organi sani venissero donati ad altri. Mi ha profondamente commosso vedere l'equipe medica attorno al bambino inchinarsi prima dell'espianto per rendergli omaggio. Grazie alla generosità di questa creatura altri potranno vivere. Questo atto generoso dovrebbe far pensare a tutti noi di vivere in armonia affinché il mondo diventi più umano. Prego il Signore perché dal cielo interceda per l'umanità. 

Savina (MI)



Carissima Savina, la notizia che poni alla nostra riflessione mette in luce l'importanza di vivere la vita come dono. Se in famiglia l'essere dono per l'altro diventa il respiro quotidiano il gesto di donare gli organi sarà la semplice conseguenza. Noi vogliamo sperare che la cultura del dono di sé possa lievitare nelle società, diventeremmo più umani e percepiremmo gli altri come san Francesco ci ha indicato, come fratelli. "Un mandarino cinese, venuto a morte, mentre s’avviava al paradiso, ebbe voglia di visitare l’inferno. Fu accontentato e condotto al soggiorno dei dannati. Si trovò così in un’aula immensa, con tavole imbandite, su cui fumava, profumando l’aria, il cibo nazionale in enormi vassoi: il riso, il diletto e benedetto riso. Attorno alle tavole sedevano innumerevoli persone, ciascuna munita di bacchette di bambù per portare il riso alla bocca. Ogni bacchetta era lunga due metri e doveva essere impugnata a una estremità. Ma, data la lunghezza della bacchetta, i commensali, per quanto si affannassero, non riuscivano a portare il cibo alla bocca. Colpito da quello spettacolo di fame nell’abbondanza, il mandarino proseguì il suo cammino verso il soggiorno dei beati. Ma quale non fu la sua sorpresa nel constatare che il paradiso si presentava identico all’inferno: un ampio locale con tavole imbandite, vassoi enormi di riso fumante, da mangiarsi con bacchette di bambù lunghe due metri, impugnate a una estremità. L’unica differenza stava nel fatto che ciascun commensale, anziché imboccare se stesso, dava da mangiare al commensale di fronte, dimodoché tutti avevano modo di nutrirsi con piena soddisfazione e serenità". Ci lasciamo, cara Savina, con questa favola cinese che mette in luce l'importanza del condividere le cose, ma soprattutto noi stessi.

Un caro saluto di pace e bene.

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