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"I Colori di Giotto"

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Gli affreschi di Assisi visti da vicino



Cade l'ottavo centenario della fondazione dell'Ordine francescano e la Basilica di Assisi trova un nuovo momento di gloria.
Assisi continua a generare occasioni memorabili di approfondimento e felicità nell'incontro con l'opera d'arte e adesso le celebrazioni sono arrivate alla prima tappa consistente nell'accesso dei visitatori sulle impalcature di restauro della cappella di San Nicola nella Basilica inferiore e nelle ricostruzioni virtuali degli affreschi con le Storie francescane per far capire a tutti come si presentassero queste opere cardine della storia occidentale all'atto della loro esecuzione a fine Duecento. Così la realtà virtuale e gli effetti speciali, che inevitabilmente condizionano l'approccio con l'antico, si affiancano alle consacrate tecniche di restauro ossequienti a una tradizione tecnologica, filosofica e scientifica che è vanto del nostro Paese.
Giotto eseguì queste opere memorabili e quando esattamente?
Gli antichi scrittori ci hanno confuso le idee. Giorgio Vasari nel suo libro delle Vite dei pittori, in prima edizione nel 1550, per quel che riguarda Assisi dice ben poco pur raccontando l'itinerario giottesco in modo lineare. Afferma che Giotto apprese l'arte più per istinto, che fu notato quando era giovanissimo da Cimabue, il primo pittore di Firenze, e da lui valorizzato, e poi fece tanti lavori a cominciare da Firenze. Assisi fu una delle molte tappe della sua carriera. Vi fu condotto per finire le opere che Cimabue aveva lasciato incompiute e «nella chiesa dei frati minori dipinse tutta la chiesa dalla banda di sotto». Non si capisce se con le parole «dalla banda di sotto» vuole indicare le storie francescane che stanno nella Basilica superiore ma nella parte di sotto delle mura o la Basilica inferiore (che sta di sotto) dove ci sono in effetti alcune cappelle dipinte da Giotto. Ricorda la lapide che nel Quattrocento il poeta Poliziano scrisse per la tomba di Giotto dove nell'epitaffio il defunto parla di sé: «Ille ego sum per quem pictura extincta revixit» (Sono io quello che ha fatto rivivere la pittura data per morta). Il Vasari spiega: «essendo stati sotterrati tanti anni dalle ruine delle guerre i modi delle buone pitture... egli solo... quella che era per mala via resuscitò e redusse a una forma da chiamar buona». Che gli affreschi delle Storie francescane siano buoni non c'è dubbio e le ricostruzioni virtuali elaborate dal CNR e presentate da Giuseppe Basile lo dimostrano attraverso un metodo che permette di vedere come si presentassero all'origine, immuni dai danni del tempo e degli uomini. Sono belli, compatti, duri nella sostanza cromatica, incantati in una ferrea cubatura spaziale che rende tutto nitido e lampante, dove la forma è generata da un criterio di sicurezza mentale che è stabilità fisica della percezione.
Che questi affreschi siano di Giotto è oggetto di disputa perpetua. Ora i restauri esemplari hanno permesso di scendere nel profondo della esecuzione e dello stile. Il confronto cruciale è con gli affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova dove le fonti attestano con certezza che l'autore è Giotto. Come data gli Scrovegni sono un po' più avanti di Assisi, ai primi anni del Trecento quando Dante rivolge a Giotto un alto elogio nel Purgatorio. Assisi dovrebbe essere alla fine del secolo precedente. Dante per lodare Giotto fa parlare il miniatore Oderisi da Gubbio, in Purgatorio per il peccato di superbia tipico degli artisti. Oderisi dice che Cimabue credeva di essere il numero uno ma ora c'è Giotto che ha superato tutti, come ha fatto Franco Bolognese nel campo della miniatura. L'eccellenza dell'arte si è spostata nell'area nord italiana, a Padova e a Bologna. Giotto è un fiorentino ma la sua forza travalica la scuola da cui proviene per fecondare tutta l'Italia da Milano a Napoli. Vasari spiega come Giotto avesse estratto l'arte dalle macerie della guerra, rappresentata dal mondo bizantino che aveva paralizzato le forme espressive costringendo gli artisti a parlare una lingua transnazionale dove a farla da padroni erano l'angoscia e la paura. Ma il pittore delle Storie francescane è un pacifista che convoca riunioni e solenni adunanze affiancandole a episodi di vita vissuta come se un incantesimo benigno avesse liberato lo spazio dall'ingombro dell'ossequio a un potere costituito ormai scomparso ma ancora opprimente. Il progettista delle Storie francescane è il primo artista occidentale che usa un criterio da autentico sceneggiatore. Prende un libro che è la Legenda Maior di San Bonaventura dell'inizio del Duecento in presa diretta su San Francesco, e lo organizza in un racconto figurativo con forti elementi strutturali comuni, interpretando lo spirito del santo in bilico tra la bellicosità del contestatore e il pacifista universale volto all'armonia tra le parti. Inventa una tradizione di fatto appena nata e le contestazioni già all'epoca ci furono, specie dalla corrente pauperista. Prudentemente il ruolo di Giotto quale supremo ideatore fu messo subito in ombra. Gli studi attuali, i cui risultati rifulgono in queste manifestazioni assisiati, ce lo restituiscono con tutta evidenza.

fonte: La Repubblica

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