fede

Dialogo ebraico-cristiano: ricordare con gratitudine le radici della fede

Redazione online Ansa - Massimo Percossi
Pubblicato il 30-11--0001

“Se si volge l’attenzione all’operato degli ultimi tre Pontefici, emerge in ognuno di loro la volontà efficace di promuovere e approfondire il dialogo ebraico-cattolico. Questa amicizia tra cristiani ed ebrei è sempre stata costante, pur assumendo sfumature e stili diversi a seconda della personalità di ciascun Pontefice: Giovanni Paolo II è stato un Papa di grandi gesti e immagini pregnanti; Benedetto XVI si è servito della forza della parola e della profondità della riflessione teologica; Francesco è il Papa che riesce a trasmettere umanità e tenerezza, che sa farsi vicino a tutti”.

Lo sintetizza Norbert Hoffmann, segretario della Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo, sul numero di ieri de “L’Osservatore Romano”, alla vigilia della giornata del dialogo tra cattolici ed ebrei (17 gennaio). Questa Giornata, precisa Hofmann, “vuole offrire ai cristiani una proficua occasione per ricordare con gratitudine le radici ebraiche della loro fede, come pure prendere coscienza, con sensibilità, del dialogo in corso con l’ebraismo di oggi”.

“Essendo, nella Chiesa cattolica, di fondamentale importanza l’impronta e l’orientamento di ciascun pontificato verso l’ebraismo”, Hofmann coglie l’occasione “per guardare all’impegno degli ultimi tre Papi nei confronti del dialogo ebraico-cattolico”. A partire da Giovanni Paolo II, al quale “viene riconosciuto il merito di aver rotto definitivamente il ghiaccio nel dialogo ebraico-cattolico; per primo, egli compì gesti indimenticabili di amicizia verso gli ebrei. Certamente, importanti passi di riavvicinamento erano già stati intrapresi da papa Paolo VI, ma soltanto con Giovanni Paolo II s’inizio a percepire l’impegno della Chiesa cattolica a favore dell’ebraismo”.

“Allo stesso modo – prosegue il segretario della Commissione vaticana – Benedetto XVI ha portato avanti con determinazione la linea seguita” dal suo predecessore, con una vicinanza all’ebraismo che “non rimase a livello teorico”, bensì “si tradusse presto nel concreto”. “Mentre Giovanni Paolo II – precisa – aveva una spiccata sensibilità per il valore simbolico dei gesti, Benedetto XVI puntò sulla forza delle parole e sull’umiltà dell’incontro”. Infine Francesco, che “già a Buenos Aires”, dove era arcivescovo, “fece molto per la promozione del dialogo cattolico-ebraico”. Sin dall’inizio del suo pontificato, osserva Hofmann, è stato “evidente che il nuovo Pastore si sarebbe adoperato senza riserve in favore del dialogo con gli ebrei, al fine di approfondire e intensificare i vincoli di amicizia già esistenti”. (Agensir)

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