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Tra i trafficanti del Mar Egeo: Con 500 euro ti porto in Grecia

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Se in tasca hai il passaporto giusto, un biglietto per Lesbo costa 20 euro. Il traghetto parte alle cinque di pomeriggio davanti al ristorante Limàn. 



Il viaggio dura un’ora e sei in Europa. In tutti gli altri casi, ti ritrovi su una spiaggia di dune e relitti, a correre dietro a un ragazzo che si chiama Ömer. «Non accendere il telefono, stai zitto e stai giù!» urla mentre fa passare un gruppo di 23 siriani attraverso la secca del Madra. Dove il fiume finisce nel mare, si apre una spiaggia lunga chilometri. Sono le sette di sera. Il vento sferza il canneto e increspa la superficie nera dell’orizzonte. Ma vedi già le luci del paese greco di Mytilini, nitide, brillare come stelle perfette dove ricomincia la terra. Sono così vicine che ti sembra di poterle toccare. Da quella parte ce l’hai fatta. Di qua sei ancora uno dei 2 milioni e 800 mila profughi che vivono in Turchia in condizioni di estrema miseria. 

«La polizia sta battendo le coste» dice Ömer. «Sono giorni molti difficili. Le condizioni del mare non sono buone e gli agenti stanno aprendo gli occhi dove prima li tenevano chiusi. Ieri hanno arrestato due persone a Dikili, fermato 123 profughi. Dobbiamo adattarci. Non possiamo più partire con la luce del sole. Andiamo con il buio». 



Li tengono nascosti nella carcassa di un pulmino fra le dune della spiaggia. Pregano tutti insieme, e le folate si portano via le parole. La barca arriverà a prenderli nella notte, se il mare sarà più buono. Altrimenti torneranno domani, per un altro tentativo. Ma per arrivare qui a vedere questa signora di Idlib, 72 anni, con il cappotto nero e sopra il giubbotto salvagente arancione della Yamaha già allacciato, bisogna prima tornare indietro. Partire dall’inizio. E l’inizio del Grande Esodo ha un indirizzo preciso. Davanti alla stazione dei treni di Smirne, fra i lustrascarpe, i pesci fritti e certi sguardi di piazza Basmane. «Sei siriano?».



Oggi i trafficanti di uomini vendono un biglietto di sola andata per la Grecia a 500 dollari, tutto compreso. Il prezzo è salito, perché sono aumentati i rischi. «Ma i bambini piccoli viaggiano gratis e i ragazzi pagano la metà» ti dicono con un sorriso atroce. Vengono a cercarti loro. Perché ormai da mesi tutta la zona vive di questo indotto. Gli hotel sono pieni di siriani. E se non sono siriani né iracheni, sono magrebini e afghani che strappano i documenti per potersi inventare una nuova vita. «Vogliono tutti essere nati a Damasco» dice il portiere dell’hotel Zeibek ridendo. 



È dietro la stazione, nei vicoli, dove le trattative si possono fare più agevolmente. È facile riconoscere chi ha già comprato il biglietto. Si aggira con un enorme sacchetto nero dell’immondizia pieno di giubbotti di salvataggio. I negozi li espongono in vetrina. Di notte, addirittura, quasi davanti al Siesta Bar - «Hey fratello, entra a bere una vodka!» - c’è un tavolino con sopra cinque giubbotti anneriti dai giorni. 



La questione dei giubbotti di salvataggio è, evidentemente, molto seria. Li trovi da 40 dollari e da 5. Nella zona è stata scoperta una fabbrica clandestina di giubbotti falsi. Pochi giorni fa, alcuni profughi siriani sono stati costretti ad imbarcarsi con le botte, anche se avevano capito che i loro salvagenti erano di bassa qualità. E non volevano più partire. Ecco perché adesso in piazza Basmane la parola inglese più ricorrente è questa: «Original». Veri giubbotti di salvataggio, quelli che ti salvano. Almeno così giura l’uomo che ha avvicinato la famiglia Aboud. Sono padre, madre e figlia di due anni: «Non abbiamo mai visto il mare. Quanto dura l’attraversata?». «Due ore, al massimo tre», risponde il trafficante. 



Ed è così che vanno verso la spiaggia di dune. Da Smirne partono con il pullman di linea, oppure su furgoni o con dei taxi. Dipende dal prezzo pagato. Scelgono quasi tutti il tratto di costa compreso fra Dikili e Ayvalik perché l’attraversata è più breve. Sabato sono annegati 15 profughi più a sud: chissà se indossavano giubbotti originali. 

Le coste sono pattugliate più che mai. I siriani fermati dalla polizia, ora sono rinchiusi in una palestra di Dikili. Non si può entrare. Alle cinque di pomeriggio, le donne urlano e battono i pugni contro la porta. La polizia scarica acqua, pane e coperte. «Verranno rimandati a Smirne» dice un agente di guardia. Ma tenteranno ancora. «Non dovete agitarvi durante il viaggio» dice Ömer. «Dovete stare calmi anche quando la barca si metterà a ballare. Tutto andrà bene». 



C’è un posto dove si può verificare il contrario. È il cimitero degli annegati, si trova a metà strada fra Smirne e la spiaggia. L’hanno costruito due mesi fa. Ogni fossa, un numero. «Sono tutti siriani» dice l’imam Ahmet Altan. «Al momento sono 65 cadaveri senza nome, ma sappiamo che i dispersi sono più di trecento. Almeno qui le famiglie potranno chiedere l’identificazione attraverso il Dna». Il cimitero degli annegati domina il mare, alto sulla collina. E da ogni parte si vede l’Europa, a perdita d’occhio. (Niccolò Zancan - La Stampa)

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