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Iraq, ancora raid. Obama: serviranno settimane

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Undici anni dopo l’invasione che rovesciò il regime di Saddam Hussein, gli Usa tornano a bombardare in Iraq. Barack Obama è costretto ad ammettere che i tempi saranno lunghi: andremo avanti finché necessario, «il problema non sarà risolto in settimane, non c’è un programma per la fine della missione». 

I raid americani stanno avendo successo, distruggendo armi e attrezzature dello Stato islamico (Isis), mentre due missioni umanitarie sono state completate per portare soccorso alle decine di migliaia di membri della minoranza degli Yazidi in fuga dalle orde dei jihadisti sui monti intorno a Sinjar. Lo ha dichiarato oggi il presidente Usa, assicurando che «le truppe americane non torneranno a combattere in Iraq» e che non sarà una nuova guerra. 

Nuove notizie drammatiche arrivano intanto dalla regione di Sinjar, città vicina al confine con la Siria conquistata domenica dai jihadisti. I miliziani dello Stato islamico non lasciano partire circa 4.000 Yazidi da due villaggi a sud della città e minacciano di giustiziarli se non si convertiranno all’Islam, secondo quanto ha affermato un attivista di questa minoranza, Ali Sanjari, parlando con un sito di notizie curdo. Sanjari spiega che i suoi correligionari, seguaci di una fede pre-islamica e considerati miscredenti dai fondamentalisti dello Stato islamico, sono bloccati dai miliziani nei villaggi di Haju e Hatemiya e fa appello ai governi iracheno e della regione autonoma del Kurdistan e alle organizzazioni internazionali perché intervengano. 

Le dichiarazioni di Obama hanno fatto seguito di alcune ore ad una sfida lanciata dal “Califfato” islamico dell’Isis direttamente a Washington: «Non siate vigliacchi, attaccandoci con i droni - ha affermato in un videoreportage realizzato da “Vice” un portavoce dello Stato islamico, Abu Musa - mandate i vostri soldati invece, quelli che abbiamo umiliato in Iraq. Lo faremo ovunque e alzeremo la bandiera di Allah sulla Casa Bianca». 



Ma la strategia americana si va delineando chiaramente: proteggere la regione autonoma del Kurdistan, i cui combattenti Peshmerga sono in prima linea nella resistenza all’avanzata jihadista, e fare arrivare aiuti umanitari alle masse di profughi in fuga dalla loro avanzata. Agli almeno centomila cristiani, certo, per i quali Papa Francesco ha chiesto oggi a tutte le parrocchie di dedicare domani una «preghiera speciale». Ma anche alle decine di migliaia di Yazidi che rischiano di morire per fame e per sete sulle montagne intorno a Sinjar, la città a ovest di Mosul verso il confine con la Siria caduta domenica nelle mani dell’Isis. Anche due aerei militari britannici sono partiti per la regione, con aiuti di prima necessità, come l’acqua, per circa 75.000 persone. La Francia ha fatto sapere che invierà aiuti «nelle prossime ore». «Dobbiamo evitare il genocidio», ha affermato Obama. Anche il governo italiano si è attivato. «Stiamo mobilitando tutto quello che«possiamo in termini di aiuti umanitari, abbiamo già stanziato un milione di euro», ha detto il ministro degli Esteri Federica Mogherini, ricordando che il vice ministro Lapo Pistelli è rientrato proprio la scorsa notte da Erbil. 

Ma una deputata irachena della comunità Yazidi è arrivata oggi a chiedere agli Usa di bombardare anche Sinjar, a costo di provocare vittime civili, pur di proteggere i profughi bloccati sulle montagne. «Non restano che uno o due giorni per aiutare questa gente, poi cominceranno a morire in massa», ha affermato la parlamentare, Vian Dakhil in un’intervista all’agenzia Afp. Nei giorni scorsi era stata la stessa Dakhil a denunciare l’uccisione di 500 uomini Yazidi da parte dei jihadisti dello Stato islamico dopo che si erano impadroniti di Sinjar, la culla di questa comunità, e il rapimento di 500 donne, che potrebbero essere usate come schiave sessuali. Intanto il patriarca della Chiesa caldea, monsignor Louis Sako, si è recato oggi a Najaf per incontrare il Grande Ayatollah Ali al Sistani, massima autorità religiosa sciita del Paese. «Sua eminenza Al Sistani denuncia e condanna gli attacchi alle minoranze», ha detto Sako uscendo dal colloquio.  


L’Isis, comunque, in una dichiarazione diffusa su alcuni siti jihadisti ha affermato che continuerà la sua offensiva, dopo che negli ultimi giorni si è impadronito di altre 15 cittadine e villaggi iracheni, oltre alla grande diga di 35 chilometri a nord di Mosul, sul Tigri, da cui dipende l’irrigazione nella piana di Ninive. Ormai le forze dello Stato islamico sono a poche decine di chilometri da Erbil, dove comincia a diffondersi il panico. Tanto che le autorità locali hanno sospeso momentaneamente l’accesso a Facebook per evitare che circolassero notizie e video che mettessero in discussione la capacità dei Peshmerga di resistere. Intanto le maggiori compagnie aeree hanno sospeso i loro voli verso la città per ragioni di sicurezza.  (lastampa.it)

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