cronaca

IL LUPO E' DENTRO DI NOI. UOMINI SI AMANO COME SONO NON COME DOVREBBERO ESSERE

Felice Accrocca
Pubblicato il 30-11--0001

Il parroco del mio paese, narrandomi un giorno di sue esperienze del tempo di guerra (lui, allora adolescente, ricorda bene quegli anni tragici), mi disse che la guerra disumanizza, finendo per rendere l’uomo insensibile al dolore altrui. Mi raccontò infatti di come lui, armato di un frustino che si era fatto con un virgulto di ulivo, camminava un giorno tra i cadaveri di alcuni soldati tedeschi dando, con quello stesso frustino, colpi a destra e a manca, divenuto ormai impenetrabile dal mistero di quelle vite violentemente troncate, quasi fossero manichini con i quali si potesse giocare. Era la difesa fragile tentata da un adolescente di fronte alla terribilità degli eventi, il tentativo estremo di rendersi impermeabile a quella sofferenza immane che lo colpiva, suo malgrado.


  La ricchezza finisce per produrre effetti simili: ci chiude infatti nei nostri egoismi, per cui finiamo per non voler vedere la sofferenza altrui. La foto di un bambino morto il cui corpo resta abbandonato sulla spiaggia potrà apparire a molti cruenta, violenta quasi. Ma quanto più violenta e ingiusta è quella morte, che ha reciso le speranze di vita non soltanto del bambino ma anche dei suoi familiari? E quanto più violenti – seppure umani – sono i nostri tentativi di difesa, perché tesi, in ultima analisi, a salvaguardare la nostra posizione di privilegio?


 Commentando l’episodio del lupo di Gubbio, quello che san Francesco avrebbe ammansito e riconciliato con la città, don Primo Mazzolari disse che il lupo è dentro di noi, dentro ognuno di noi, anche se si può avere a che fare con due qualità di lupi: c’è, infatti, «il lupo selvatico, il lupo brado», rappresentato dal lupo famelico del fioretto, che nessuno di noi ha mai visto, e c’è «il lupo levigato, civile, che si veste bene, il lupo in veste d’agnello, che se la prende con il lupo che viene dalla foresta». «San Francesco – diceva ancora il parroco di Bozzolo – è stato chiamato a fare giudizio. Fra due egoismi non c’è niente da dire. Ricordate che da questa parte ci sono egoismi, come dall’altra parte, e quando siamo sul piano dell’egoismo il suono è questo: rapacità, nessun senso del limite; con la sola differenza che la barbarie da una parte è l’espressione di una necessità che non può più contenersi, e da quest’altra c’è anche la possibilità di contenersi. E allora? I cittadini escono armati dalle case, hanno paura. Qui vi potrei fare la storia di tutti i giorni, il dramma di oggi è tutto in questa parabola. […] Vedete la paura! Come si chiama questa paura? Ecco: da una parte si chiama la stanchezza di fare il povero, dall’altra si chiama lo spavento di diventare povero. […] La tragedia è tutta qui. È il supremo di questa posizione che non ha una via d’uscita. Non è soltanto una piccola riforma, o una riforma di struttura che basterà a cambiare una posizione sostanziale di rapporti. Bisogna che facciamo diventare uomini tutti e due i lupi. […] Ma ecco: si stacca un uomo da una parte. Non è neanche uno della città. A Gubbio ci va l’uomo di Dio. Vede, sente, soffre. È distaccato da una parte e dall’altra. È l’unico che può parlare, perché non ha degli interessi, perché non è armato. È l’unico che può parlare, perché vuole bene al lupo di campagna e al lupo di città. […] Egli va, parla al lupo, mentre questi gli si avventa contro. […] Come volere bene al lupo? È tutto qui. Solo chi ama il lupo può parlare al lupo. Noi cristiani ci siamo dimenticati di una cosa: gli uomini si amano come sono, non come dovrebbero essere. Se le nostre mamme avessero aspettato a volerci bene quando noi fossimo diventati buoni, forse le nostre mamme sarebbero morte senza volerci bene».



Molti anni dopo Mazzolari, torno a meditare su questa pagina dei Fioretti anche fratel Carlo Carretto. «Ciò che è straordinario nel fatto del lupo di Gubbio – scriveva fratel Carlo – non è che si sia ammansito lui, è che si sono ammansiti loro, gli abitanti di Gubbio e che davanti al lupo che si avvicinava infreddolito ed affamato gli fossero corsi incontro non con le roncole e le accette ma con pezzi di cibo e polenta calda. Qui sta la meraviglia dell’amore: scoprire che la creazione è un tutt’uno, progettato da un Dio che è Padre e se tu ti presenti come lui disarmato e pieno di pace, la creazione ti riconosce e ti sorride. […] Ogni uomo ha nell’altro uomo l’immagine del lupo. Se davanti a lui si fa prendere dalla paura e perde la calma tutto è finito: non resta che sparare. […] Togliete la paura, ristabilite la fiducia e avrete la pace. La non violenza sta nella distruzione della paura. Ecco perché vi dico ancora, io Francesco: imparate a vincere la paura come ho fatto io quella mattina andando incontro al lupo con un sorriso. Vincendo me, ho vinto lui».


Ciò che ci rende insensibili, e alla fine violenti, è la paura, diceva don Mazzolari. La non violenza sta nella distruzione della paura, diceva fratel Carlo. Il vero grande miracolo sarebbe se anche noi, come gli abitanti di Gubbio, andassimo incontro al lupo (e molti di noi vedono come altrettanti lupi la gente che viene sulle carrette del mare!) «non con le roncole e le accette ma con pezzi di cibo e polenta calda».

L’indifferenza può fare più male delle roncole e delle accette e anche un sorriso può essere, a volte, gradito più del cibo della polenta calda…

Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.

Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA