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Vi racconto come nacquero le Special Olympics

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Timothy Shriver, chairman of Special Olympics e nipote di John F. Kennedy

“La disabilità è una creazione della società”. Ne è convinto Timothy Shriver, chairman of Special Olympics, le Olimpiadi Speciali (diverse dalle Para Olimpiadi), dei giochi pensati per chi soffre di un deficit intellettivo o fisico. ”I disabili sono diversi ma non per questo non sono uomini, non per questo non possono essere perfettamente integrati nella società”, ha aggiunto.

Shriver è intervenuto ieri al Meeting di Rimini 2015 e la sua testimonianza è rimasta viva nella mente di coloro che hanno assistito all’incontro “Fully Alive. Domande e sfide alla ricerca dell’amore di Dio in ciascuno di noi”, introdotto da Letizia Bardazzi, Presidente dell’Associazione Italiana Centri Culturali e a cui ha anche preso parte Suor Maria Angela Bertelli, missionaria saveriana in Thailandia.


L’americano, figlio di Eunice Kennedy e dunque nipote del compianto John F. Kennedy – da cui ha ereditato carisma e sembianze fisiche – da anni ha deciso di spendersi a favore degli altri. Lo fa con energia, buonumore e tanto cuore. La sue parole trasudano di umanità e speranza e incantano i presenti che nonostante la delicatezza e l’importanza del tema escono dal salone B3 della fiera con il sorriso.

L’attenzione nei confronti di coloro che tutti i giorni si scontrano con i limiti della propria mente e del proprio corpo è innata nell’animo di Shriver che a Formiche.net ha spiegato: “Mia madre aveva un amore immenso per la sorella Rosemarie, la più fragile della famiglia Kennedy, per questo decise di fondare le Special Olympics nel 1968”.


Lui, dopo la laurea alla Catholic University, non ha avuto dubbi sulla strada da intraprendere e ha seguito le orme di mamma Eunice. “Gli Stati Uniti sono un paese che ha sempre fatto baluardo del valore dell’indipendenza, è attraverso una rieducazione all’attenzione per il prossimo che si può arrivare a rendere indipendenti anche i disabili”, ha spiegato l’americano e poi ha aggiunto: “Trecento milioni di persone vivono nella disabilità intellettiva, è circa il 2-3 per cento della popolazione mondiale e, lo assicuro, vivere nella diversità è difficile, la società non aiuta, anzi al contrario spesso complica le cose”. Per questo motivo Shriver auspica a una rieducazione all’uguaglianza: “L’obiettivo è far giocare insieme i bambini disabili e quelli che non lo sono, perché così con l’esperienza ognuno può rendersi conto che la vulnerabilità dell’uomo non viene da una particolare condizione della mente o del corpo, la debolezza è insita nella natura dell’essere umano e solo affidandosi a Dio può essere colmata”.


A un certo punto, ha chiesto a ciascuno di immaginarsi disabile e di fare il tifo per se stesso, lui sul palco ha corso la sua gara simbolica mentre tutti lo incitavano ad arrivare in fondo. “Questo è l’importante, non la vittoria”, ha detto senza neanche un po’ di fiatone. Per un attimo è sembrato di essere nel salotto di uno show americano, ma non si poteva trovare metafora migliore per comprendere come si muove un atleta delle Special Olympics sul campo e soprattutto nella vita.




Timothy è arrivato al Meeting dopo aver partecipato al New York Encounter: “Ciò che mi ha colpito di questa comunità è il senso di incontro che ho riscontrato in maniera prorompente e preponderante sia a New York che a Rimini. Io e mia moglie Linda siamo rapiti dal modo in cui la gente qui si approccia agli altri. E infine conclude: “Il mio guadagno nello spendermi a favore di chi è disabile? Guardarli negli occhi mi ricorda quotidianamente il vero senso della vita”. (Antonella Luppoli - Formiche.net)

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