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Un giorno tra i rifugiati al Centro di Accoglienza dei Richiedenti Asilo dove andrà Papa Francesco

Andrea Cova
Pubblicato il 22-01-2019

Quelli che arrivano sulle nostre coste, sono persone, sono sentimenti, sono storie. Bisogna ascoltarle perché per dialogare è fondamentale conoscere la realtà dell’altro

Al CARA di Castelnuovo di Porto (Roma) abbiamo ascoltato alcune di queste storie, abbiamo  incontrato i 114 operatori che ogni giorno si adoperano affinché questi uomini e donne possano avere i diritti che gli sono stati negati. CARA è l’acronimo di Centro di Accoglienza dei Richiedenti Asilo.

Sira viene dal Mali, come molti degli ospiti è stato salvato in mare. È arrivato nel nostro Paese nel 2014, ha imparato l’italiano e vive in questo centro con tutta la sua famiglia. È felice di stare qui.

Imparare una lingua come la nostra non è una questione da poco e Zaira, insegnante di italiano e francese del CARA, ci racconta di come sia importante il suo ruolo. Sente il peso di una grandissima responsabilità: formare queste persone dal punto di vista linguistico significa fornirgli le fondamenta per l’integrazione.

Parlando con molti di loro sono emerse esperienze difficili da immaginare, lontane dalla quotidianità e da noi che, ormai “saturi” di tutto, non ci rendiamo conto di quanto sia difficile la vita di un richiedente asilo.


Una donna ci presenta la sua bambina di pochi mesi, viene dall’Eritrea. Quando è fuggita dalla sua terra la portava già in grembo. Prima di giungere in Italia, come molti altri, è stata prigioniera nelle carceri libiche dove venivano ammassati e picchiati, senza pietà nemmeno per una donna nelle sue condizioni. Libertà, questo è il significato del nome della bambina in lingua tigrina, è nata in Italia, pochi mesi dopo che sua madre è stata salvata dalla Guardia Costiera.


Ognuno proviene da un paese differente, ognuno si è portato dietro il proprio bagaglio culturale ed è per questo che Zubaydi, responsabile del servizio di mediazione culturale, si riunisce ogni due mesi con i rappresentanti delle diverse etnie presenti per decidere un menu che possa incontrare le esigenze di tutti. Perché il cibo e le abitudini alimentari sono parte integrante di una cultura e questo aspetto non va mai sottovalutato, ma risolto insieme.



L’ascolto e il dialogo sono lo spirito che fa da motore nel centro CARA e che permette di avere sia una moschea che una chiesa nello stesso edificio. Ognuno prega il proprio Dio, che non è poi così diverso da quello dell’altro, anzi. Sia la chiesa che la moschea sono molto frequentate, che siano cristiani o musulmani non fa differenza: sono luoghi di “rifugio”, di sostegno sia spirituale che umano.


Prima di tornare ad Assisi ci siamo salutati con Floriana, la direttrice di CARA, e Angelo Chiorazzo il fondatore della cooperativa Auxilium che si occupa del centro. Entrami hanno sottolineato la necessità e l’importanza di fornire, a chi richiede asilo, gli strumenti fondamentali per potersi integrare, non solo in Italia ma anche negli altri paesi europei.

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