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Papa Francesco di ritorno dal Paraguay: 'Sui poveri io seguo la Chiesa e predico la sua dottrina sociale'

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Sui poveri «sono io che seguo la Chiesa, perché semplicemente predico la sua dottrina sociale». «Mi auguro che trovino una strada per risolvere il problema greco e anche una strada di sorveglianza perché altri Paesi non cadano nello stesso problema». Sul Crocifisso con falce e martello: «Capisco quest'opera ideata da padre Espinal, che si qualifica come arte di protesta. Non mi sono sentito offeso». Sui movimenti popolari: «Sostenendoli la Chiesa non fa un'opzione per l'anarchia». Sui bisognosi: «Parlo di loro perché sono nel cuore del Vangelo. Ma dovrei parlare di più anche alla classe media». Sulla sua resistenza alla fatica: «La mia energia? Il mate mi aiuta, ma non ho assaggiato la coca». Nella conferenza stampa sul volo di ritorno dal Paraguay a Roma Papa Francesco ha conversato per un'ora con i giornalisti rispondendo a molte domande. E più volte è emersa anche la dimensione della preghiera. Prima di decidere su che cosa fare delle decorazioni donategli dal presidente boliviano Evo Morales, «ci ho pregato su». Non appena ricevuto i segnali positivi che esprimevano volontà di dialogo tra Stati Uniti e Cuba, «io ho soltanto pregato su questo».

Grazie per aver elevato il santuario di Caacupé a basilica pontificia. Ma perché il Paraguay non ha un cardinale?

«Non avere un cardinale non è un peccato, la maggioranza dei paesi del mondo non ha un cardinale. Le nazionalità non ricordo quante siano, ma sono una minoranza. È vero, il Paraguay non ha avuto cardinali fino a ora e non saprei dirle la ragione. A volte si bilancia, si valutano i dossier e il carisma della persona, del cardinale, che è quello di assistere il Papa nel governo della Chiesa. Il cardinale è incardinato alla Chiesa di Roma e deve avere una visione universale. Questo non vuol dire che non ci siano vescovi che non ce l'abbiano in Paraguay. È che siccome non si possono eleggere più di 120... Bolivia ne ha avuti due, Uruguay due... Alcuni paesi centroamericani non l'hanno avuto. Ma non c'è alcun peccato: dipende dalle circostanze, dalle persone, ma non significa un minor valore. Ci sono vescovi che hanno fatto la storia del Paraguay e non sono stati cardinali. Merita il Paraguay di avere un cardinale? Guardando alla Chiesa del Paraguay, direi che ne meriterebbe non uno solo ma due: è una Chiesa viva, gioiosa, che lotta, con una storia gloriosa».

Considera giusto l'anelito dei boliviani di avere uno sbocco al mare? Lei accetterebbe di fare una mediazione tra Cile e Bolivia?

«La mediazione è cosa delicata e sarebbe un ultimo passo. L'Argentina l'ha vissuta con il Cile ed è stata una situazione limite, ben fatta perché la Santa Sede ha ricevuto l'incarico per interessamento di Giovanni Paolo II, con la buona volontà dei due Paesi coinvolti. Però è l'ultima istanza. Ci sono altre figure diplomatiche che aiutano. In questo momento io devo essere molto rispettoso, perché la Bolivia ha fatto ricorso a un tribunale internazionale. Se io faccio un commento ora, io sono il capo di uno Stato, sembrerebbe che mi immischi nella sovranità di un altro Stato. Io rispetto la decisione che ha preso il popolo boliviano che ha fato questo ricorso. Mi hanno detto che al tempo del presidente Lagos si era vicini a una soluzione, me lo ha raccontato il cardinale Errazuriz. Nella cattedrale di La Paz ho toccato questo tema in modo molto delicato tenendo in conto la situazione del ricorso al tribunale internazionale. I fratelli devono dialogare, i popoli latinoamericani devono dialogare, dialogare per creare la Patria Grande, il dialogo è necessario. Lì mi sono fermato e ho detto: penso al mare. E ho continuato: ci vuole dialogo e dialogo. Ho rispettato la situazione come è al momento attuale. Bisogna aspettare il tribunale internazionale. Sempre c'è una base di giustizia quando ci sono cambiamenti nei confini territoriali dopo una guerra. Non è ingiusto esprimere questo desiderio. Ricordo che nell'anno 1961, quando ero al primo anno di filosofia, ci mostrarono un documentario sulla Bolivia e credo che si chiamasse "Le dieci stelle": presentava ognuno dei nove dipartimenti del Paese e come decimo si vedeva il mare, senza alcun commento. Dunque, prima il dialogo, la sana trattativa».

L'Ecuador era scombussolato prima della sua visita, e dopo che lei ha lasciato il Paese, gli oppositori sono tornati a uscir per strada. Sembra che la sua presenza in Ecuador si voglia usare politicamente, specialmente per quella sua frase sul popolo ecuadoriano che si è rimesso in piedi con dignità. Lei crede nel progetto politico del presidente Correa? Crede che le considerazioni che ha fatto aiutino a costruire la democrazia?

«Evidentemente so che c'erano problemi politici, lo so. Non conosco i particolari della politica ecuadoriana. Mi dicono che c'è stata come una parentesi durante la mia visita, non ci sono state proteste, e io ringrazio e lo apprezzo. Ma se le proteste vanno avanti vuol dire che i problemi continuano. Io mi riferivo alla maggior coscienza che il popolo ecuadoriano ha del suo valore. C'è stata una guerra con il Perù da poco tempo, c'è l'esperienza della guerra. E poi una maggior coscienza della varietà di ricchezza etnica dell'Ecuador. Non è un paese che scarta. E dunque mi riferivo a tutto il popolo, e alla ricchezza dell'unità nella varietà, non erano parole che si riferivano a una realtà politica concreta. È stata strumentalizzata da entrambe le parti. Una frase si può strumentalizzare. È molto importante nel vostro lavoro l'ermeneutica di un testo: non si può interpretare con una frase, l'ermeneutica è nel contesto. Ci sono frasi che sono ermeneutica, altre che non lo sono. Bisogna anche vedere la storia di questo momento o se stiamo interpretando un fatto del passato, farlo con l'ermeneutica del passato, per esempio, le crociate. Non voglio fare il maestro, è un aiuto per voi».

Nel discorso ai movimenti popolari lei ha parlato del nuovo colonialismo, dell'idolatria del denaro e dell'imposizione dei mezzi di austerità che stringono la cintura dei poveri. In Europa c'è il caso della sorte della Grecia, che rischia di uscire dalla moneta unica. Che cosa pensa di questo?

«Prima di tutto, il perché di questo intervento mio nel convegno dei movimenti popolari: non era il primo, ma il secondo, perché ne avevamo fatto uno nell'aula vecchia del Sinodo. È una cosa che organizza Giustizia e pace, ma io sono vicino, perché è un fenomeno di tutto il mondo, lo troviamo anche in Oriente, nelle Filippine, in India, in Thailandia. Movimenti che si organizzano tra loro non solo per fare una protesta ma per andare avanti e poter vivere, e sono movimenti che hanno forza. Sono tanti, sono persone che non si sentono rappresentate dai sindacati perché dicono che i sindacati sono una corporazione e non lottano per i diritti dei più poveri. La Chiesa non può essere indifferente, ha un dottrina sociale, e dialoga con loro. Voi avete visto l'entusiasmo: la Chiesa non è lontana, ci aiuta a lottare. La Chiesa non fa un'opzione per la strada dell'anarchica. No, non sono anarchici, questi lavorano, fanno lavori con gli scarti, con le cose che avanzano. Per quanto riguarda la Grecia e il sistema internazionale: io ho una grande allergia all'economia, perché mio papà era ragioniere e quando non finiva il lavoro in fabbrica lo portava a casa e il sabato e la domenica con quei libri lavorava a casa. Non capisco bene com'è la cosa, però certamente sarebbe semplice dire: la colpa è soltanto di questa parte! I governanti greci che hanno portato avanti questa situazione di debito internazionale hanno una responsabilità. Col nuovo governo greco si è cominciata una revisione un po' giusta. Io mi auguro che trovino una strada per risolvere il problema greco e anche una strada di sorveglianza perché altri Paesi non cadano nello steso problema, e che questo ci aiuti ad andare avanti perché quella strada dei debiti non finisce mai. Mi hanno detto, un anno fa più o meno, che c'era un progetto all'Onu per il quale un Paese può dichiararsi in bancarotta, che non è lo stesso del default, ma non so come è andato a finire. Se un'impresa può fare una dichiarazione di bancarotta, perché un paese non può farlo e lo si aiuta? E poi le nuove colonizzazioni, evidentemente tutti vanno sui valori, sulla colonizzazione del consumismo. L'abito del consumismo è stato un progresso di colonizzazione, che ti porta a un'abitudine che non è la tua e ti squilibra la personalità, la salute fisica e mentale, tanto per fare un esempio».

Uno dei messaggi più forti di questo viaggio è stato questo: lei ha detto che questo sistema economico spesso impone profitto a tutti i costi. Questo è percepito dagli statunitensi come una critica al loro modo di vivere: come risponde a questa percezione?

«Quello che ho detto non è nuovo, quella frase non è nuova. Che "questa economia uccide", l'ho detto in Evangelii gaudium e nell'enciclica Laudato si'. Ho sentito che alcune critiche sono state fatte negli Stati Uniti: ogni critica deve essere recepita e studiata e poi bisogna fare un dialogo. Cosa penso? Siccome non ho dialogato con chi fa la critica, non ho il diritto di fare un pensiero così isolato... Adesso ci andrò negli Usa, ma devo cominciare a studiare adesso, fino a oggi avevo studiato i dossier su questi tre paesi bellissimi dell'America Latina. Ora devo studiare Cuba e gli Stati Uniti».

Che cosa ha provato quando il presidente Morales le ha regalato il Crocifisso con la falce e martello? E dove è finita?

«Curioso, io non sapevo che padre Espinal era scultore e anche poeta, l'ho saputo in questi giorni e per me è stata un sorpresa. Si può qualificare il genere nell'arte di protesta. A Buenos Aires alcuni anni fa è stata fatta una mostra di uno sculture bravo e creativo argentino ed era arte di protesta, e ricordo un Cristo crocifisso su un bombardiere che veniva giù: una critica al cristianesimo ma perché alleato con l'imperialismo. Io lo qualificherò come arte di protesta, che in alcuni casi può essere offensiva. In questo caso concreto: padre Espinal è stato ucciso nell'anno 1980, quello era il tempo della teologia della liberazione... una di queste usava l'analisi marxista della realtà e padre Espinal apparteneva a questo, lo sapevo perché in quell'anno ero rettore della facoltà teologia e si parlava tanto di questo. Nello stesso anno il generale della Compagnia padre Arrupe ha scritto una lettera ai gesuiti chiedendo di fermare l'analisi marxista della realtà, e quattro anni dopo nel 1984, la Congregazione per la dottrina della fede ha pubblicato il primo documento, che critica, e poi il secondo che apre a prospettive più cristiane. Espinal era un entusiasta di quest'analisi marxista, gli è venuta questa opera, anche le poesie di Espinal sono di quel genere, era la sua vita, era il suo pensiero, era un uomo speciale con tanta genialità umana, era in buona fede. Facciamo un'ermeneutica di questo genere: capisco quest'opera, per me non è stata un'offesa. Lo porto con me. Ho lasciato le decorazioni che il presidente Morales ha voluto darmi... Io mai ho accettato un'onorificenza, ma Morales l'ha fatto con buona volontà, per farmi un piacere, così ho pensato che questa viene dal popolo. Ci ho pregato su. E ho pensato di lasciarle alla Madonna di Copacabana, andranno al santuario. Invece il Cristo di legno lo porto con me».

Lei nell'omelia di Guayaquil ha chiesto di pregare perché il prossimo Sinodo possa trovare soluzioni ai problemi della famiglia, e perché Dio compia il miracolo anche con ciò che ci scandalizza e che ci sembra impuro. Aveva in mente casi particolari e concreti quando ha fatto queste affermazioni?

«Anche qui farò ermeneutica del testo. Stavo parlando del miracolo del buon vino alle Nozze di Cana. C'erano anfore d'acqua piene, ma servivano per la purificazione. Ogni persona che entrava alla festa faceva la sua purificazione e lasciava le sue sporcizie spirituali. Noi adesso l'abbiamo nell'acqua benedetta... Gesù fa il vino proprio con l'acqua delle sporcizie, col peggio. Ho pensato di fare questo commento: la famiglia è in crisi, lo sappiamo tutti, basta leggere l'Instrumentum laboris del Sinodo. Facevo riferimento a tutto questo: che il Signore ci purifichi da tutto questo che è descritto da queste crisi, che ci faccia migliori e andiamo avanti. Ma i casi particolari sono tutti nell'Instrumentum».

A proposito della mediazione tra Cuba e Stati Uniti: lei pensa che si possa fare qualcosa anche in Colombia e in Venezuela?

«Il processo tra Cuba e Stati Uniti non è stato una mediazione. C'era un desiderio che è arrivato da entrambe le parti. E, dico la verità, sono passati tre mesi: io ho soltanto pregato su questo. Che cosa si poteva fare dopo più di cinquant'anni che stanno così? Poi il Signore mi ha fatto pensare a un cardinale che è andato lì. Poi non ho saputo più niente, sono passati mesi, e un giorno il Segretario di Stato mi ha detto: domani avremo la seconda riunione con le due delegazioni. Io ho chiesto: ma come? Sì, sì - mi ha risposto - si parlano! La cosa è andata da sola, è stata la buona volontà dei due Paesi, il merito è loro, che hanno fatto questo. Noi non abbiamo fatto quasi nulla, soltanto piccole cose, e a metà dicembre è stato annunciato. Davvero, non c'è di più. A me preoccupa che in questo momento non si fermi il processo di pace in Colombia. Mi auguro che vada avanti, in questo senso noi siamo sempre disposti ad aiutare, ci sono tanti modi di aiuto. Sarebbe una cosa brutta che non possa andare avanti. Nel Venezuela la Conferenza episcopale lavora per fare un po' di pace, ma non c'è nessuna mediazione. Per l'accordo tra Stati Uniti e Cuba... è stato il Signore, è iniziato per caso ed è andato avanti da solo. Per la Colombia dobbiamo pregare che non si fermi questo processo, dopo cinquant'anni e tanti morti».

Qual è il segreto della sua energia che tutti abbiamo visto in questi giorni?

«Qual è la sua droga? Quella era la vera domanda. Il mate mi aiuta, ma non ho assaggiato la coca, questo sia chiaro!».

In questo viaggio abbiamo sentito tanti messaggi forti per i poveri e anche tanti messaggi forti, a volte severi, per i ricchi e i potenti. Ma abbiamo sentito pochissimi messaggi per la classe media, per la gente che lavora, paga le tasse, la gente normale. Perché ci sono pochi messaggi per la classe media? E quale sarebbe il messaggio?


«Grazie tante, è una bella correzione. Lei ha ragione, è uno sbaglio da parte mia. Farò qualche commento, ma non per giustificarmi. Devo pensarci un po'. Il mondo è polarizzato, la classe media diventa sempre più piccola e la polarizzazione tra ricchi e poveri è grande. Perché parlo dei poveri? Perché sono nel cuore del Vangelo, ne parlo dal cuore del Vangelo, non in modo sociologico. Per la classe media ci sono alcune parole dette en passant. La gente comune, la gente semplice, l'operaio, hanno un grande valore. Credo che lei mi dica un cosa che devo fare. La ringrazio per l'aiuto».

Lei in questi giorni ha insistito su percorsi di integrazione e di dialogo e ha sostenuto progetti sul vivere bene... Toccherà questi temi durante le sue visite all'Onu e alla Casa Bianca?

«No no, ho pensato soltanto a questo viaggio concreto in America Latina e al mondo in genere, questo è vero. Ma il debito dei paesi nel mondo è terribile. Tutti i paesi hanno un debito. Ci sono paesi che hanno comprato il debito di altri paesi. Ma non ho pensato a questo...».

Abbiamo parlato di Cuba, e del ruolo che il Vaticano ha avuto. Adesso che Cuba avrà un ruolo nella comunità internazionale, deve migliorare nel rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa? Che cosa guadagnerà e che cosa perderà Cuba?

«I diritti umani sono per tutti, e non si rispettano i diritti umani soltanto in uno o due Paesi: in tanti paesi del mondo non si rispettano i diritti umani. Che cosa perde Cuba o che cosa perdono gli Usa? Tutti e due guadagneranno qualcosa e tutti e due perderanno qualcosa. Ma tutti e due guadagneranno la pace, l'incontro, l'amicizia, la collaborazione. Che cosa perderanno non riesco a pensarlo. Sempre in un negoziato si guadagna e si perde. Ma tornando sui diritti umani e sulla libertà religiosa: pensate che nel mondo, ci sono paesi - anche europei - che non ti lasciano fare un segno religioso, per vari motivi. E in altri continenti accade lo stesso. La libertà religiosa non c'è in tutto il mondo».

Lei si pone come nuovo leader mondiale delle politiche alternative, perché punta molto sui movimenti popolari e meno sul mondo dell'impresa. Pensa che la Chiesa la seguirà nella sua mano tesa ai movimenti popolari, che sono molto laici?

«I movimenti popolari sono una realtà molto grossa nel mondo. Io ho fatto questo: ho dato loro la dottrina sociale della Chiesa. Lo stesso faccio con il mondo dell'impresa. Se lei legge il discorso ai movimenti popolari, vedrà che è un riassunto della dottrina sociale della Chiesa, ma applicata a loro. E quando devo parlare al mondo dell'impresa, dico lo stesso, ciò che la dottrina sociale dice a quel mondo. Per esempio nella "Laudato si'" c'è un passo sul debito sociale e sul bene comune. Questo è applicare la dottrina sociale. Sono io che seguo la Chiesa qui, perché semplicemente predico la dottrina sociale della Chiesa. Non è la mano tesa a un nemico, non è un fatto politico, è un fatto catechetico».

Non ha un po' paura che lei e i suoi discorsi siano strumentalizzati da governi, gruppi di potere e movimenti?

«Ogni parola può essere strumentalizzata. Quella frase citata dal giornalista ecuadoriano, alcuni dicevano che era pro-governo, altri che era contro, sempre strumentalizzati... Alcune volte escono notizie che prendono una frase fuori contesto. Non ho paura, dico: guardate il contesto. E se sbaglio, con vergogna, chiedo scusa e vado avanti».

Che cosa pensa dei selfie che tanta gente chiede di farsi con lei?

«È un'altra cultura, io mi sento un... bisnonno. Oggi un poliziotto, un uomo di quarant'anni, al momento di salutarmi si è fatto un selfie con me. E io gli ho detto: lei è un adolescente! Ma io rispetto questo».

Che messaggio ha voluto dare con questo suo viaggio alla Chiesa dell'America Latina e che messaggio dà la Chiesa latinoamericana al mondo oggi?

«La Chiesa latinoamericana ha una grande ricchezza, è una Chiesa giovane, questo è importante: è giovane, con una certa freschezza, anche con alcune informalità, non è tanto formale. Ha una teologia ricca, che ricerca e io ho voluto dare animo a questa Chiesa giovane, e credo che questa Chiesa può dare tanto a noi. Una cosa che mi ha colpito tanto, in tutti e tre i paesi, è stato vedere lungo le strade tanti papà e le mamme, con i bambini: facevano vedere i bambini, ma mai ho visto tanti bambini, è un popolo ed è anche una lezione per noi, per l'Europa dove il calo delle nascite spaventa un po' e anche le politiche per aiutare le famiglie numerose, sono poche. Penso alla Francia che ha una bella politica per aiutare le famiglie numerose che è arrivata credo a più di due bambini per mamma, ma altri Paesi ora sono a natalità zero o ancora meno. Non tutti però. In Albania, per esempio credo che la popolazione con meno di 40 anni sia il 45%, in Paraguay il 72 o il 75%. La ricchezza di questo popolo e di questa Chiesa viva, è una Chiesa viva, di vita, e questo è importante e credo che noi dobbiamo imparare. A me tocca tanto la cultura dello scarto, si scartano i bambini, si scartano gli anziani e con la mancanza di lavoro si scartano i giovani. I popoli nuovi, più giovani ci danno più forza in questo. Quella dell'America Latina è una Chiesa giovane con tanti problemi, ne ha problemi... credo che questo è il messaggio che io trovo: non avere paura di questa gioventù, di questa freschezza della Chiesa e può essere anche una Chiesa indisciplinata: con il tempo si disciplinerà, ma ci dà tanto vigore».Vatican Insider

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