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La scommessa russa di Papa Francesco

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

L’aeroporto di Cuba è un crocevia simbolico. E quando le persone si incontrano ai crocevia, i loro incontri sono brevi, ma sinceri e profondi

Niente chiese, monasteri, palazzi apostolici, curie patriarcali. Papa Francesco e il Patriarca russo Kirill si incontreranno nelle sale d’attesa di un aeroporto. «Ma l’aeroporto» ha fatto notare Alexander Shchipkov, uno dei collaboratori stretti di Kirill «è un crocevia simbolico. E quando le persone si incontrano ai crocevia, i loro incontri sono brevi, ma sinceri e profondi». Lì, di solito, ci si parla «con franchezza» delle cose «che sono più importanti».

L’unità dei cristiani – e non solo quella – trova un crocevia inedito e carico di futuro nel breve incontro cubano tra il Vescovo di Roma e il Patriarca di Mosca. Ma già la preparazione e i giorni della vigilia si mostrano disseminati di segnali e implicazioni più che eloquenti. Smascherando le fuorvianti congetture che si accaniscono a spacciare l’evento come una mera questione di «alta politica» ecclesiastica.



Senza condizioni 

Pur di abbracciare Kirill, Papa Francesco non ha posto alcuna pre-condizione. «Gli ho detto (a Kirill, ndr): io vengo dove tu vuoi. Tu mi chiami e io vengo». Così raccontò lo stesso Pontefice sul volo che lo riportava da Istanbul a Roma, il 30 novembre 2014. Papa Francesco ha aderito alle proposte che arrivavano da Mosca anche riguardo al luogo e alla modalità dell’incontro, come pure ai contenuti della dichiarazione comune che sarà sottoscritta dai due. In quel testo, a giudicare dagli accenni fatti trapelare anche dal domenicano Hyacinthe Destivelle, del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, si ritrovano temi e accenti su cui si concentrano da tempo gli interventi pubblici e «politici» di esponenti autorevoli del Patriarcato di Mosca: allarme per la secolarizzazione e la deriva etica della modernità, difesa della vita, della famiglia e del matrimonio eterosessuale, denuncia delle persecuzioni dei cristiani in Medio Oriente.

Negli ultimi anni, i portavoce ufficiali dell’Ortodossia russa hanno accentuato le condanne della «decadenza morale» occidentale, da loro identificata con fenomeni come la legalizzazione delle convivenze omosessuali, e hanno proposto le battaglie etiche come terreno privilegiato della “alleanza” con la Chiesa cattolica. Nel contempo, i martellanti richiami dei leader ortodossi russi alla difesa dei cristiani dei Paesi arabi si sono mossi in perfetta sinergia con l’agenda mediorientale di Putin, intento a rivendicare il ruolo - di foggia neo-zarista – di protettore dei cristiani d’Oriente.



La Sede Apostolica di Roma
, di suo, non cavalca toni da crociata anti-moderna venati di omofobia che pure si trovano in alcuni interventi dei leader russi. E riguardo al Medio Oriente, lo sguardo realista della Santa Sede sul conflitto siriano ha certo sabotato nei fatti il «cordone sanitario» che alcuni circoli occidentali volevano stendere intorno alla Russia di Putin. Ma nella costante predicazione di Papa Francesco intorno al martirio dei cristiani mediorientali non si trova traccia del linguaggio da «Guerra Santa» utilizzato da esponenti del Patriarcato di Mosca per benedire le bombe russe contro il «Male» jihadista.

La dichiarazione congiunta rimarrà come attestato documentario dell’incontro di Cuba, ma non conviene sopravvalutarla come chiave interpretativa di tale evento. Papa Francesco ha aderito senza esitazioni alla prospettiva di sottoscrivere un testo predisposto secondo la sensibilità di Mosca, pur di facilitare l’abbraccio con il Patriarca Kirill. A lui interessa l’incontro, e quello che dall’incontro potrà nascere. Il resto – il Paese scelto per il rendez vous, la «location» anomala, la dichiarazione congiunta – è secondario.



La “bussola” della piena unità 

Il Vescovo di Roma ha detto in più occasioni con parole inequivocabili quali attese lo animano rispetto ai fratelli delle Chiese ortodosse. Il 30 novembre 2014, parlando al Fanar davanti al Patriarca ecumenico Bartolomeo, Papa Francesco disse che per giungere alla piena unità coi cristiani ortodossi la Chiesa cattolica «non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune». Anche lo scorso anno, nel messaggio inviato al Patriarca ecumenico per la festa patronale di Sant’Andrea, il Papa ha ripetuto che tra cattolici e ortodossi «non vi è più nessun ostacolo alla comunione eucaristica che non possa essere superato attraverso la preghiera, la purificazione dei cuori, il dialogo e l’affermazione della verità».

La piena unità sacramentale, e non soltanto la ratifica di «sante alleanze» contro nemici comuni, rappresenta l’orizzonte verso cui i cristiani sono chiamati a muoversi. E solo camminando insieme – così crede Papa Francesco – cadranno le ostilità e gli equivoci, e ci si accorgerà prima o poi di essere già uniti. «L’unità – ha detto il Vescovo di Roma il 25 gennaio 2014 - non verrà come un miracolo alla fine: l’unità viene nel cammino, la fa lo Spirito Santo nel cammino… Essa si fa in questo cammino, in ogni passo, e non la facciamo noi: la fa lo Spirito Santo, che vede la nostra buona volontà».



L’Ut unum sint messa in pratica 

Di suo, per facilitare il cammino, Papa Francesco realizza nei fatti compiuti la «forma di esercizio del primato» aperta «a una situazione nuova» che era stata evocata nell’enciclica wojtyliana Ut unum sint come svolta ecumenica richiesta nel tempo presente, dopo il Concilio Vaticano II. L’attuale Successore di Pietro non impone proprie «linee» di pensiero, lascia cadere ogni pre-condizione teologica e ogni rivendicazione di preminenza giurisdizionale nei confronti dei Primati delle Chiese d’Oriente. Appaiono archiviati anche i tatticismi preoccupati di «gestire» le differenze e le rivalità tra le diverse articolazioni dell’Ortodossia. La Chiesa di Roma ha rinunciato per sempre a ogni immaginaria «politica dei due forni» da applicare al dualismo cronico tra il Patriarcato di Mosca e la «Chiesa madre» di Costantinopoli: Papa Francesco ha avuto la premura di avvertire per lettera il «Fratello Bartolomeo» dell’incontro che avrà con il «fratello Kirill», quando mancavano ancora dei giorni all’annuncio ufficiale. La stessa premura viene riservata dal Vescovo di Roma a tutti i capi delle Chiese d’Oriente, a prescindere dal loro «peso» politico, seguendo i criteri di quella ecclesiologia «sinodale» che il Pontefice argentino vuole favorire anche in seno alla Chiesa cattolica. Per Papa Bergoglio, la rete crescente di amicizie con i capi delle altre Chiese non si misura con il righello dei rapporti di forza: anche l’incrocio con Kirill non sarà tanto un appuntamento con il leader dell’entità «più grossa» dell’Ortodossia, quanto l’abbraccio con il capo di una Chiesa di santi e di martiri, che ha custodito la fede nei decenni dell’ateismo forzato, donando a tutta la cristianità tesori di fede e di spiritualità inestimabili. E che ora, pur tra ambiguità e ombre, vede un’innegabile rifioritura, che non può non rallegrare il Vescovo di Roma e tutti gli altri cristiani.



Il tempo e lo spazio dell’unità 

Papa Francesco abbraccia i fratelli ortodossi così come sono: coi loro limiti, le loro ricchezze, le loro conflittualità e inclinazioni non sempre collimanti. Non ha una sua «linea» da imporre. Sa bene che l’unità non arriverà come effetto di negoziati dottrinali, ma incoraggia ugualmente il dialogo teologico tanto caro a Ioannis Zizioulas, il Metropolita del Patriarcato ecumenico non troppo amato dai russi, che Francesco definisce «il più grande teologo cristiano vivente». Allo stesso modo, sa bene che l’unità tra cristiani non può ridursi a una «alleanza» neorigorista contro la modernità. Ma asseconda tutto quello che è condivisibile nelle denunce dei leader ortodossi russi, preoccupati delle derive della secolarizzazione. Per Bergoglio, l’unità coi fratelli in Cristo non è omologazione, ma «diversità riconciliata», compiuta dallo Spirito Santo, da scoprire lungo il cammino. A questo serve anche l’incontro di Cuba, fuori dalle logiche auto-appaganti dei «mega-eventi» celebrativi: per lui, l’importante era incontrare Kirill, per camminare insieme guardando al futuro. Tutto il resto è secondario: le modalità dell’incontro, il cerimoniale, le frasi di circostanza, e anche il luogo. Un aeroporto cubano va bene come qualsiasi altro posto. Perché vale anche per l’unità dei cristiani il principio bergogliano che il tempo è superiore allo spazio. E che l’importante è «avviare processi, più che occupare spazi».  (Gianni Valente - Vatican Insider)

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