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La gratitudine, un sentimento impegnativo

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Il grande intellettuale ed etnomusicologo Roberto Leydi, uno dei miei maestri, al cui insegnamento sono debitore di un aspetto importante della mio modo di pensare, nel corso di una cena di un dopo teatro mi rabbuffò affettuosamente rimproverandomi di attribuire troppa importanza al contributo che aveva avuto nella mia formazione.

Effettivamente, quando in uno scritto o in un'intervista ripercorro le tappe del mio lavoro, molto spesso faccio riferimento a quanto sia stato un privilegio per me avere incontrato e frequentato uno studioso di così speciale caratura. In quella circostanza, io risposi a Leydi che la gratitudine che provavo e che non avrei mai smesso di provare nei suoi confronti per avermi aperto il mondo delle culture tradizionali, della loro musicalità, per avermene rivelato i significati e i valori profondi, era un'attitudine che onorava me più che lui, lo pensavo allora e lo penso ancora oggi senza nulla volere togliere al mio Maestro. Si, mi sento di sostenerlo con chiarezza: la gratitudine onora e giova a chi la prova, molto più che a chi la riceve. Chi assolve al proprio compito nella vita assumendo una posizione di attenzione e di rispetto verso il suo prossimo, non si dovrebbe aspettare nulla in cambio; fare qualcosa per gli altri non dovrebbe mai essere un do ut des.

La ricompensa, se è lecita chiamarla così, dell'atto del dare all'altro o dell'accogliere l'altro, è contenuta nell'atto stesso, nella qualità e nel senso che si attribuisce alla propria vita compiendolo. La gratitudine di chi ha ricevuto, riguarda lui ed è per questa ragione che è un sentimento di  difficile gestione. A molti, la condizione di percepirsi in debito provoca sensazioni di disagio, il debitore spesso si sente sotto ricatto anche se il suo creditore non gli chiede nulla e non ha neppure intenzione di chiederglielo. Il debitore non di rado assume atteggiamenti aggressivi nei confronti di chi ha esercitato verso di lui un'azione di generosità, in qualsiasi modalità si sia manifestata. Perché? Personalmente ritengo che dare, sia molto più gratificante che ricevere, anche se la vulgata racconta il contrario e anche se la consuetudine inveterata di ritenere che il pensare solo per sé sia il meglio di ciò che una persona può fare per il proprio "benessere".

In realtà, paradossalmente, le cose stanno esattamente nel modo opposto. Dare ed accogliere sono in realtà espressioni di un nobile egoismo, ricevere con consapevolezza e sapere ricevere senza retropensieri, guardando con empatia colui o coloro che ci danno o ci accolgono, è un atto di generosità e di vero altruismo. In epoca biblica, ci ricorda il Talmud, un povero che voleva contrarre un prestito, poteva dare in pegno la propria coperta con cui si copriva di notte. Era stabilito tuttavia che chi aveva elargito il prestito, si prendesse l'impegno di riportare a chi lo aveva contratto, la sua coperta, tutte le sere, al sopraggiungere del tramonto perché non dormisse al freddo e di tornare a riprenderla al mattino successivo. Ora, sicuramente, sarebbe stato meno gravoso per chi concedeva il prestito rinunciare al pegno. Ma in quel caso la relazione fra generosità e gratitudine avrebbe comportato un deficit di dignità per il povero.  di Moni Ovadia

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