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Kenya: un viaggio nel cuore dell'Africa tra speranza, dialogo e fraternità

Enzo Fortunato
Pubblicato il 30-11--0001

Sono 37 i frati francescani e 47 i giovani in formazione che da 32 anni portano avanti la presenza francescana conventuale in Kenya

  Hakuna mata "nessun problema" l'affermazione resa popolare dal cartone animato della Walt Disney "Il re leone" assume un colore e un significato diverso quando la senti pronunciare dal cuore delle persone che vivono nella più grande baraccopoli di Nairobi a pochi km dal centro della città. Sono un milione le persone che l'abitano, stipate come alberi in una foresta. Non a caso questo centro viene chiamato Kibera che significa proprio foresta.

Subito emerge la prima riflessione: come gli alberi sono attaccati uno all'altro e non hanno la possibilità di crescere diametralmente allora svettano verso l'alto così gli uomini e le donne che abitano a Kibera danno senso alla loro vita rivolgendo lo sguardo al Cielo. Un Cielo che si manifesta con la provvidenza  e la presenza dei francescani e dei tanti uomini di buona volontà che hanno messo al centro della loro vita l'aiuto per gli altri. Kibera e la baraccopoli più grande del Kenya, la seconda dell'Africa.



Sono 37 i frati francescani e 47 i giovani in formazione che da 32 anni portano avanti la presenza francescana conventuale in Kenya. Lo fanno anche a Subukia, un villaggio di 8000 abitanti dove si sta costruendo il centro per la pace e la riconciliazione. Il motivo? E' far crescere le nuove generazioni l'una accanto all'altro perchè 42 tribù negli ultimi anni hanno dilaniato le speranza di questo popolo facendosi guerre e ora è necessario, per lenire le loro ferite, un centro di dialogo che permetta loro di crescere senza guardarsi con sospetto ma da fratelli. Uno dei segni evidenti a Subukia è l'incontro che abbiamo vissuto con circa 10000 donne provenienti da tutto il Kenya. Le donne cattoliche che si ritrovano ogni anno presso un santuario per pregare, dialogare e sperare.



I giorni che si sono susseguiti dinanzi a noi in Africa sono stati anticipati da un'immagine che ci ha accompagnato per tutto il  viaggio: appena arrivati nel convento di Nairobi, accolti dal Custode della Provinica del Kenya, fra Kazimierrz Szulc, e dal rettore della casa di formazione dei postulanti, fra Joseph Kikuyij, ci accorgiamo di avere come vicini una moschea. Un solo passo ci separava. Segno dei rapporti buoni tra cattolici e  musulmani. In Kenya l'85% sono cristiani, il 10% musulmani e il 5% religioni tradizionali.

Da qui la seconda riflessione: l'islam non è quello che i mass media vogliono farci conoscere. Avevamo affrontato questo viaggio con timore alla luce degli attentati che c'erano stati, la realtà è bene diversa. E' l'Imam della Mosche Masjid Bukhari Sooth, Habdul Rahman, a ribadirci l'importanza del dialogo e della fratellanza e di come l'isis danneggi l'immagine dell'islam. Questo incontro non può non ricondurci a quello che accadde in Egitto, sulle coste Africana, quando san Francesco dialogò con il Sultano Melek el-Kamel.

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