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IL 'DISAGIO' DELLA RICCHEZZA

Lucia Annunziata
Pubblicato il 30-11--0001

Proponiamo ai nostri lettori questo interessante blog di Lucia Annunziata

Proponiamo ai nostri lettori questo interessante blog di Lucia Annunziata uscito sull'Huffington Post uscito con il titolo 'Il senso di Hilary per il denaro'

Ma cosa si dice in un discorso per cui si viene pagati 225 mila dollari, un quarto di milione? Il denaro torna, fantasma di sempre, a perseguitare Hillary Clinton. Uno dei discorsi pagati con tale cifra è ad esempio, quello tenuto in Arizona, nell'ottobre del 2013, su invito di Goldman Sachs. Parte di un ciclo di tre discorsi, fatti sempre per la stessa banca, per i quali in totale la Clinton ha guadagnato 675,000 dollari. Una piccola parte di una grande impresa, in realtà. Secondo la Cnn, che conforta le sue affermazioni con gli estratti delle tasse, Bill e Hillary dal 2001 alla scorsa primavera, quando è cominciata la corsa alle primarie, hanno guadagnato 153 milioni di dollari solo in discorsi: 729 interventi alla media di 210,795 dollari. Di questi, 7,7 milioni di dollari (la quota di Hillary è pari a 1,8 milioni) sono stati ricavati da 39 incontri organizzati da grandi banche, in testa Goldman Sachs. Il cerchio si chiude qui perché, come dice a Politico un manager di Goldman Sachs che ha assistito a uno dei discorsi, "certo nessuno viene a parlar male di chi ti ha pagato".

Il denaro torna ancora una volta al centro della campagna elettorale americana. Non quello di cui si parla sempre nelle campagne elettorali - i costi e la raccolta fondi dei vari candidati. Qui si tratta piuttosto del senso del denaro, che come quello di Smilla per la neve, è la percezione, l'intimità, la conoscenza e l'uso che la politica ha di questa materia: corruttore, simbolo o dannazione di un'epoca, e forse di un intero modello sociale. Nella democrazia più materialista del mondo, il vero tema di queste primarie a sorpresa si scopre così un grande tema etico-politico, che rimbalza da un campo all'altro, e a cui riportano tutti gli altri - gender, rottura generazionale, socialismo, razzismo, antirazzismo.

Per Hillary la questione si può porre chiaramente. La pratica dei discorsi pagati è del tutto lecita, oltre che infinitamente lucrosa. Dagli Usa al resto del mondo, è un vero e proprio circuito di celebrità, politici, ex presidenti o ex ministri, manager e banchieri, scienziati, scrittori, artisti ed economisti. Passando dai Clinton a Yanis Varoufakis. Ma nel caso specifico, Hillary non è accusata per la liceità di questa pratica, quanto per i contenuti dei discorsi fatti. Un gruppo di attivisti di Sanders ha chiesto infatti che venga reso pubblico il testo dei tre discorsi fatti per Goldman Sachs, per dimostrare che la candidata non ha mai mosso nessuna critica alle pratiche fraudolente, agli abusi di fiducia del cittadino, alle responsabilità più generali avute nella crisi del 2007 da questa banca diventata simbolo del grande crollo dopo il quale nessuna economia neppure quella americana è stata più la stessa. Sospetto che è stato confermato dal quotidiano online Politico.com, una delle voci influenti di Washington, che ha intervistato alcuni di coloro che erano agli incontri dove la Clinton ha parlato. Sospetto riconfermato dal fermo rifiuto che la stessa candidata ha opposto a ogni richiesta.

Non è di avidità, insomma, di cui stiamo parlando, ma del "legame incestuoso" fra politica e grande business. Denaro in cambio di un legame acritico, che promette una relazione futura altrettanto acritica. Questo è il punto dell'accusa. Ma in questa accusa si riverbera una diversa sensibilità alla questione denaro in un paese che, come si diceva, non ha alcun senso di colpa nei confronti dei beni materiali. La diversità di percezione è misurabile proprio nel peso che questo bene in particolare ha avuto nel successo dei candidati. L'accumulo di fondi, in particolare da Ronald Reagan in poi, è stato in sé un metro di misura, secondo un'equazione che metteva sul piano quantità di milioni, calcolata per migliaia di dollari ad elettore, e possibilità di vittoria. Un'equazione a cui non si è sottratto nessuno, incluso Barack Obama, fino a quelli che nei mesi preparatori delle primarie sono apparsi come i grandi predestinati: Hillary Clinton, appunto, e Jeb Bush. Milioni uguale Vittoria.

L'equazione è stata invece smentita in questo primo giro. Per Bernie Sanders, in maniera molto chiara, nello scontro con Hillary. Ma, a ben vedere, anche per Donald Trump, che certo può contare sui soldi suoi, ma si è anche dedicato a spenderne il meno possibile. Fra i due, opposti in ogni cosa, c'è un terreno comune: entrambi predicano contro il sistema. Lo xenofobo, irriverente Trump, e il socialista, sognatore Sanders. Pure nelle due diverse piattaforme fischia lo stesso vento, quello della disillusione e della rabbia di cittadini che si sentono abbandonati, non capiti. Trump coniuga in una maniera questa rabbia, Sanders in un'altra. Ma la base che risponde è la stessa - una classe media (che in America ha una grande latitudine e abbraccia la classe operaia fino ai piani alti dei colletti bianchi) che si è sentita tradita. Agli occhi di questa classe, il tradimento non è tanto di questo partito o di quello, di conservatori o democratici, di questo o quel business, ma di un'intera élite che abbraccia tutti quelli che in questi anni di crisi hanno continuato a profittare - banche, business, e politici con tutte le loro corti, tutti insieme. Una percezione che oggi in America (e non solo) introduce l'idea che la vecchia società, in cui alle divisioni si opponeva comunque una scala sociale, si sia divisa in un doppio blocco: chi ha e chi non ha, chi conta e chi no. Insomma, chi è dentro e chi è fuori.

Il solco di questa divisione, nella percezione dell'elettorato americano, è stato scavato da Wall Street nel 2007. Colpevole di quella crisi, il Big Business non solo è stato soccorso e salvato dalla politica, ma non ha mai pagato il prezzo, a differenza degli americani il cui livello di vita non è più tornato quello di prima. Val la pena qui di ricordare che già Obama, ancora nei suoi anni trionfali, è sempre stato accusato dal 2007 di essere l'uomo delle grandi corporation e delle banche.

In maggioranza questo sentimento è molto forte nella componente bianca della popolazione americana. E finora si è votato in due Stati - Iowa e New Hampshire - che sono fra i più bianchi del paese. Dal prossimo giro, in Stati in cui la composizione sociale e razziale è più differenziata, i risultati si immaginano diversi. I candidati favoriti come Hillary contano oggi su questo. Ma per quello che abbiamo visto finora, la crisi economica ha, semmai, inciso ancora di più sulla popolazione non bianca, più indifesa. Sarà dunque particolarmente interessante vedere i prossimi risultati.

Per ora un segno di novità va colto. Il denaro simbolo di successo e di vittoria per molti decenni, e non solo in Usa, oggi è guardato con altri occhi. La civiltà americana, segnata dalle sue origini calviniste, ha sempre coltivato un ambivalente rapporto con la ricchezza, come ha narrato Simon Schama nel suo libro, del 1987, ancora oggi una pietra miliare, "Il disagio dell'abbondanza" (The embarrassment of riches: an interpretation of Dutch culture in the Golden age). Ma che ora, dopo decenni di sbornia di accumulo, riemerga proprio nella nazione traino di questa cultura, il "disagio" per la ricchezza, è una suggestione da cogliere al di là di chi vincerà (e rimane forte l'idea che la vittoria arriderà comunque a Hillary). Dietro il diverso "senso per il denaro" occhieggiano le ferite inferte dalla lunga transizione economica mondiale da una economia delle cose a quella di internet, dalla speculazione, dalle illusioni degli oggetti e del potere. Ma anche le potenzialità del mondo che ne sta emergendo.

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