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Il conflitto in Medio Oriente raccontato dagli studenti di Rondine

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Rabee, palestinese e Naomi, israeliana due giovani che vivono presso lo Studentato Internazionale alla Cittadella della Pace

Rabee è un ragazzo palestinese che proviene dal campo profughi di Deisheh di Betlemme. Sul suo campo, sorge il muro alto 8 metri, che lo confina in Cisgiordania. Rabee ha visitato una sola volta la Cupola della Roccia di Gerusalemme, una delle moschee più importanti per l'Islam nonostante i quindici minuti che lo separano da essa. Cosa può succedere nella testa di un giovane che è costretto all'interno di un muro? Prima di venire a Rondine non aveva mai incontrato un ragazzo israeliano, gli unici israeliani visti fino allora erano soldati. “A Rondine ho imparato a vivere con il mio nemico – racconta Rabee a soli venticinque anni - Rondine ha cambiato tutto di me. Ha cambiato il mio modo di pensare, di stare con altri, ma non ho cambiato opinione sul conflitto.

Vedo ancora la mia terra come una terra occupata da altri, ma ora so che gli israeliani sono persone come me con cui possiamo e dobbiamo confrontarci per trovare una soluzione pacifica”. Rabee è molto concreto quando parla del conflitto israelo-palestinese, preoccupazione e determinazione si mescolano insieme, ma tra le righe affiora la speranza. “Non so se si potrà risolvere il nostro conflitto ma lo spero, nel profondo. Di certo quello che dobbiamo fare è fermare il sangue, la morte di persone innocenti, la sofferenza di chi non ha colpe”. Per lui è il momento di guardare al futuro; ha quasi concluso il suo percorso a Rondine e il master in Comunicazione Pubblicità e Organizzazione di Eventi.“Quello che farò una volta tornato a casa è raccontare la mia esperienza, trasmettere quello che ho imparato. Il dialogo è tutto.

Bisogna sempre parlare per risolvere il problema sia che si tratti di un piccolo problema o di salvare la vita di una persona, non bisogna mai fermarsi. Tutti sappiamo quanto peso abbia la comunicazione in una terra di conflitto. Ora ho gli strumenti per trasmettere il mio messaggio di pace. Servirà a qualcosa? Non so. Non mi resta che provare per scoprirlo ed è quello che farò. “Spero anche io di aver lasciato qualcosa di me a Rondine – conclude Rabee - L’inverno scorso ho allestito una mostra fotografica sulle origini del borgo di Rondine, dove sorge lo Studentato Internazionale, da quando era un cumulo di macerie a oggi. Ho raccontato la storia prima di noi, di quel luogo in cui giorno dopo giorno cambiamo insieme e che cambia con noi. Quella storia ci appartiene, tutti abbiamo le macerie alle nostre spalle ma abbiamo imparato che insieme possiamo ricostruire il mondo come lo vogliamo”.


Anche Naomi ha venticinque anni, ma lei viene dall’altra parte del muro: Israele. Naomi è di Sde Boker, località del Negev. Vive a Rondine da poco meno di un anno e studia fashion design a La Sapienza di Roma. Naomi ha servito il suo Paese nell’esercito per due anni, quest’esperienza l’ha cambiata per sempre. “Non condividevo la visione del conflitto del mio Governo, il modo in cui pensiamo alle persone dall’altra parte. Volevo conoscerle quelle persone che noi chiamiamo “nemici”.

Volevo trovare un posto in cui si impara a costruire la pace, non a fare la guerra, per questo ho scelto Rondine. Credo che abbiamo il dovere di educare le nuove generazione a rifiutare la guerra e la violenza per cambiare la situazione e risolvere il conflitto”. Adesso Naomi ha riposto la sua divisa nell’armadio. Non ha rinnegato il suo popolo e le sue origini, ma ha fatto una scelta diversa, quella di lavorare insieme al proprio nemico per costruire un futuro migliore, un futuro in cui non servirà imbracciare un fucile. "Mi fa stare male pensare al nostro conflitto e spesso provo vergogna per le cose che fa il mio Governo. Il nostro conflitto va avanti da così tanto tempo e ogni volta il dialogo si blocca perché cerchiamo di determinare chi ha ragione e chi ha torto. Secondo me, per andare avanti e risolvere il conflitto dobbiamo smettere di cercare un colpevole e iniziare a parlare sul serio, guardando al futuro”.

Ha le idee chiare Naomi ma anche per lei l’arrivo a Rondine non è stato facile: “Mi sono trovata a vivere con degli sconosciuti, lontana dalla casa e dalla famiglia. Lingue diverse, culture e religioni diverse. E’ un processo faticoso costruire la fiducia nell’altro, soprattutto se ti hanno insegnato che è il tuo nemico. E’ una vera sfida. Per me all'inizio è stato difficile ma piano piano, ho capito che le nostre diversità sono anche le cose più belle che ci uniscono. Oggi so di aver trovato degli amici, persone che mi vogliono bene, che mi sostengono anche se siamo da parti opposte dello stesso conflitto”. Anche Naomi ha un sogno, mettere la sua creatività al servizio della pace: “Quanto tornerò a casa, vorrei creare un laboratorio artigianale, in cui i designers di tutto il mondo possano ispirarsi alla tradizione e alla cultura dei nostri due popoli per creare insieme manufatti che riflettano le nostre diversità, ma anche la capacità di stare insieme attraverso la creatività. Spero che questo tipo di lavoro possa essere utile per la gente comune, perché impari a non aver paura, anzi, che sia stimolata a guarda oltre quel muro e un giorno magari ad abbatterlo”.

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