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I cristiani tornano ad aumentare in America Latina, il caso argentino

ALVER METALLI REUTERS
Pubblicato il 14-02-2019

Nei settori più poveri, quelli delle “Villas miserias”, la Chiesa recupera terreno

C’è un momento per tutto, recita l’Ecclesiaste e anche gli evangelici argentini, come quelli del resto d’America, considerano che il loro tempo sia arrivato. Il tempo di conquistare spazi pubblici e di potere per meglio difendere i valori che stanno a cuore e meglio impedire che siano soppiantati da leggi civili ostili.

In Argentina, come osserva José Luis Pérez Guadalupe in “Entre Dios y el César. El impacto político de los evangélicos en el Perú y América Latina”, storicamente il peronismo ha fatto da barriera alla nascita di un partito evangelico, come d’altra parte ha fatto da barriera alla formazione di fronti comunisti filo guerriglieri quando soffiavano i venti della sovversione dei sistemi politici dai Caraibi.

Così il progetto di fondare un partito confessionale, che nel 1991 diede impulso al Movimento Cristiano indipendente (MCI), è rapidamente fallito per lasciare spazio ad opzioni strategicamente più praticabili e più realistiche, nella linea di candidature individuali nei diversi partiti politici esistenti.

Il detonante della nuova fase possono essere considerate le mobilitazioni contro l’aborto del maggio 2018 che hanno dato luogo a manifestazioni massicce tanto nella capitale, Buenos Aires, come nel resto del Paese. Gli evangelici hanno suonato la tromba della riscossa, sono scesi nelle strade, si sono contati e hanno preso coscienza di essere molti e di poter far valere le loro ragioni anche nella piazza della politica. Di qui alla decisione di mandare in Parlamento dei propri rappresentanti il passo è breve e sul punto di essere compiuto.

Il quotidiano argentino Perfil dà conto di diversi movimenti in ambito evangelico-pentecostale che preludono a prossime mosse squisitamente politiche. Il deputato della prosperosa città di Salta, Alfredo Olmedo, avrebbe ricevuto la benedizione della Chiesa universale per presentare la propria candidatura alle elezioni presidenziali di ottobre.

Cynthia Hotton, già deputata e attiva leader pro-vita, si accontenterebbe di uno scranno nel Congresso della nazione mentre il pastore David Pablo Schlereth sarà candidato a vicegovernatore per conto dell’alleanza di governo nella provincia di Neuquén. Un altro pastore evangelico, Daniel Robledo, – sempre secondo il quotidiano argentino - si presenterà per la carica di governatore nelle elezioni già alle porte del 17 febbraio. Molto attivo anche Walter Ghione, di Alianza Cristiana de Iglesias Evangélicas de la República Argentina, che nel 2017 ottenne 32.470 voti nella corsa a deputato, e che non nasconde traguardi ancora più ambiziosi.

Un’altra inchiesta recente, questa volta del quotidiano argentino La Nación sugli «evangelici e la politica», inanella un buon numero di fatti concreti che documentano la propensione politica del nuovo protestantesimo sudamericano. A partire da una premessa: che gli evangelici argentini hanno puntato forte sui settori popolari e raccolgono i frutti di questo investimento.

Case per ragazzi di strada, mense popolari nei quartieri più emarginati, centri di recupero dalle tossicodipendenze, case per donne in situazioni di violenza, ricoveri per anziani, fanno oramai parte della prassi abituale della presenza evangelica odierna al punto che i ministeri per lo Sviluppo Sociale della nazione e di Buenos Aires hanno riconosciuto il valore sociale del lavoro evangelico e incorporato le loro opere nella distribuzione dell'assistenza alimentare nelle aree chiave delle periferie urbane colpite dalla crisi.

Una presenza capillare com’è capillare la presenza delle comunità pentecostali nei settori più marginali della società argentina. Secondo dati dell’Alianza Cristiana de Iglesias Evangélicas de la República Argentina (Aciera) ottenuti da La Nación, nella provincia di Buenos Aires le chiese evangeliche supererebbero le 5mila, con l’Unione delle Assemblee di Dio che riunisce un migliaio di chiese pentecostali solo a Buenos Aires.

Il sociologo argentino Jorge Ossona fa risalire la “popolarizzazione evangelica” negli strati più umili della popolazione di Buenos Aires e provincia al momento della grande recessione del 2001-2002, quando il peso della crisi economica che portò al default argentino si fece sentire in maniera acuta e le parrocchie e le organizzazioni comunitarie non riuscivano a far fronte alle richieste di aiuto che provenivano dai quartieri più vulnerabili.

«Molti militanti confessionali cominciarono a mettere in discussione i parroci e i loro assistenti laici», argomenta Ossona che, in un articolo sul quotidiano Clarín del gennaio 2018, scrive che «i pastori non erano altri che gente del quartiere, accompagnati da mogli e figli. Il loro carisma e la scarsa formazione teologica si unirono per cercare una risposta ai problemi concreti che andavano dalla dipendenza all’infedeltà e al crimine» e «una delle componenti di questo movimento di ribellione finì nel pentecostalismo».

Come si è osservato in altri Paesi del continente, anche in Argentina il proselitismo dei movimenti evangelici condotto nelle aree marginali si dirige ad una popolazione prevalentemente cattolica ed ottiene con essa i migliori risultati. Le ragioni della trasmigrazione cattolica in direzione evangelica sono ben colte nel documento finale della Conferenza di Aparecida nel 2007, risultato di un’ampia discussione tra i vescovi latinoamericani orientata dall’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio «Secondo la nostra esperienza pastorale, molte volte, le persone in buona fede che lasciano la nostra Chiesa non lo fanno per quello che i gruppi “non cattolici” credono, ma per ciò che vivono; non per ragioni dottrinali, sperano di trovare risposte alle loro inquietudini. Cercano, non senza gravi pericoli, di rispondere ad alcune aspirazioni che potrebbero non aver trovato risposta, come dovrebbero, nella Chiesa».

Il sociologo Fortunato Malimacci in una delle prime affidabili inchieste sulle «credenze e gli atteggiamenti religiosi degli argentini» offre il dato nazionale di una appartenenza religiosa al cattolicesimo del 76,5%contro un 9% di argentini che si dichiarano evangelici. Una diversa ricerca condotta nelle principali Villas miseria di Buenos Aires porta gli autori a concludere che l’identità religiosa maggioritaria continua ad essere la cattolica, cui seguono le denominazioni cristiane non cattoliche, evangeliche, pentecostali e avventiste, con percentuali sensibilmente più alte rispetto a quelle rilevabili a livello nazionale. Una conclusione che mostra quanto gli evangelici tendano a concentrarsi in settori di maggiore marginalità urbana.

Ed è proprio qui, nei settori marginali, che si concentra la lotta tra un cattolicesimo popolare in ripresa e un evangelismo aggressivo e di ultima generazione, affatto incline all’ecumenismo e alla convivenza con i cattolici. Chiunque faccia un pur rapido giro nei quartieri precari di Buenos Aires non può non imbattersi ad ogni piè sospinto nei segni di una religiosità popolare che Bergoglio prima, Papa Francesco poi, hanno reso oggetto di una rinnovata attenzione da parte della Chiesa.

Le immagini della Madonna nelle sue varie invocazioni - Luján, Caacupé, Copacabana, Urcupiña, ecc – troneggiano in cappelle precarie nei vicoli delle baraccopoli e delle villas miseria mentre piccoli “santuari” di santi argentini riconosciuti - Cayetano, Francisco, ecc - coesistono di fianco ad altri di più dubbia esistenza come il Gauchito Gil e la Difunta Correa.

La rinascente devozione popolare spiega anche perché nell’Argentina di Bergoglio i valori percentuali - tanto dell’abbandono del cattolicesimo come dell’espansione del movimento evangelico - sono notevolmente inferiori alla media continentale latino-americana, con accenni di vero e proprio recupero del terreno perduto. Nelle Villas miserias e nei settori popolari la Chiesa concepita come «ospedale da campo» per l’umanità che vi abita, produce un vero e proprio movimento di riconquista dei fedeli passati all’evangelismo o da questi reclutati ex-novo. «La parrocchia è il quartiere e il quartiere è la parrocchia», sintetizza con una immagine il vescovo delle villas Gustavo Carrara.

Un altro sacerdote che nelle Villas miserias è di casa, José Maria di Paola, prende atto dell’attivismo politico evangelico e lo interpreta allo stesso tempo come una crisi dell’odierna politica argentina. «Si uniscono le due cose, la forza evangelica e la crisi della politica. Meno partecipazione della gente in istanze politiche, più mediatizzazione della politica, più spazio agli evangelici».

Secondo “padre Pepe” «gli evangelici argentini, e i pastori che li guidano, usano la politica e ne vengono usati. La politica e i politici hanno perso il legame con il popolo, e questo fa sì che vedano nei gruppi evangelici una sorta di sostituto alla loro precarietà nel rapporto con la base elettorale». Il sacerdote fa l’esempio di una figura politica conosciuta dagli argentini: «Prima nei quartieri e nelle villas c’erano i punteros, ossia delle persone che incarnavano una certa leadership politica o rappresentavano certe figure politiche di rilievo nazionale, adesso in molti casi, questi punteros sono evangelici».


* Un ringraziamento speciale al dottor José Luis Pérez Guadalupe, autore dell’eccellente ricerca “Entre Dios y el César. El impacto político de los evangélicos en el Perú y América Latina” (Perù 2017) le cui idee e conclusioni abbiamo ampiamente seguito nel primo e secondo articolo

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